2020-07-06 04:33:41.576598 by Unknown

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autore:Unknown
Format: epub
ISBN: 9788857549675


Un tale schema autorizza una teoria dei simboli come simboli sociali che, accanto a intuizioni illuminanti (i riti devono creare una differenziazione di ruoli e di status), colpisce soprattutto per i suoi aspetti generali e approssimativi, come la teoria del totemismo criticata a suo tempo da Lévi-Strauss. Che i simboli, come simboli sociali, facciano “parte di un ordine socio-morale determinato” (p. 107) è evidente; che la religione degli africani appaia “in diversi suoi aspetti come una proiezione e un’affermazione di alcune norme che governano l’evoluzione della società” (p. 109) è possibile; ma questa riduzione non risolve i problemi dell’efficacia del simbolo e della natura della credenza. Andando un po’ più lontano, si può incontrare anche chi serenamente sostiene che gli africani non credono veramente a ciò a cui dicono di credere. Così, citati da Davidson (1971, p. 153), Lienhardt (1961) spiega che le cerimonie per la pioggia non hanno l’obiettivo di far cadere la pioggia, ma di “riaffermare i confortanti principi della tradizione dinka”, Mary Douglas (1966) che la cerimonia della pioggia dei boscimani !kung non ha lo scopo di far cadere la pioggia, ma di drammatizzare la loro dipendenza dalla pioggia e di “riaffermare la morale essenziale che aveva creato nello stesso tempo la pioggia e i boscimani, e li aveva collegati nella natura delle cose”. Africani: attori sempre in scena a recitare se stessi.

Lo spirito del simbolismo è evidente: l’antropologo di buona volontà non può accettare che le credenze degli altri siano assurde e che adorino veramente la pietra e il legno; il senso delle credenze deve porsi a un livello diverso da quello dell’interpretazione letterale e dell’affermazione esplicita. L’etnologo allora passa da un livello all’altro (il religioso compete al sociale), ma è lui che ha creato e selezionato i livelli, inventato l’idea di livello, poiché si potrebbe dire anche “il religioso compete all’individuale” o “il religioso compete all’economia”. Così, a dispetto di altre evidenze (come se chi si rivolge al feticcio-guaritore pensasse che non può veramente guarire, come se chi semina e sacrifica non sacrificasse con l’idea di raccogliere), e all’occorrenza ottenendo dagli informatori stessi risposte ispirate al simbolismo (che sono anche vere e, su questo, è necessario tornare a Durkheim), l’etnologo costruisce un mondo del codice simbolico dal quale sono scomparsi l’individuo, il corpo e la materia.

D’altra parte il simbolismo non esclude di per sé il relativismo. Un autore come Dan Sperber, che aveva già sottolineato le insufficienze di una teoria del simbolo come codice, ha recentemente fondato la sua critica al relativismo su un’analisi della nozione di credenza (Sperber 1982) e sui risultati di ricerca della psicologia cognitiva. Ma l’esperienza del corpo (e, più in là, dell’essere, dell’identità, della relazione e della materia) rende da sola particolarmente evidente la tesi dell’unità psicologica dell’umanità. Per Kroeber questa era un’ipotesi di lavoro molto probabile e Róheim pensava che c’era appena bisogno di dimostrarla tanto “è evidente che un processo generale è implicato nel fatto di diventare umano”. Róheim aggiungeva che la natura umana è certamente condizionata (si



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