Gustoso e saporito. Introduzione al discorso gastronomico by Gianfranco Marrone

Gustoso e saporito. Introduzione al discorso gastronomico by Gianfranco Marrone

autore:Gianfranco Marrone [Marrone, Gianfranco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 2022-05-19T22:00:00+00:00


4. Dal visivo al gustativo: istruzioni per l’uso

Fra gli interventi che più sono andati addentro alla questione di un’analisi semiotica dell’enunciazione culinaria vi è un saggio di Jacques Fontanille (2006) su Michel Bras, grande cuoco dell’Aubrac su cui i semiologi si sono altre volte esercitati. Fontanille usa come corpus per la sua analisi un volume promozionale, una specie di libro strenna in cui Bras, divenuto un vero e proprio brand (Mangano 2014a), propone le immagini dei suoi piatti più rappresentativi accompagnate dalle rispettive ricette; così Fontanille si concentra non sui piatti stessi o sul valore polisensoriale che assumono ma sui loro aspetti esclusivamente visivi, perciò (almeno, vedremo, in linea di principio) monosensoriali, e cioè ri-enunciati dal fotografo. Da un oggetto semiotico tridimensionale si passa a un altro bidimensionale. Ma questa riduzione non è una banale estetizzazione delle soluzioni culinarie pregresse, poiché funziona semmai come una sorta di traduzione del linguaggio del gusto in quello della vista; spostamento che mira a un preciso obiettivo comunicativo, di fatto anticipando, e dirigendo, mediante il linguaggio visivo la degustazione vera e propria.

Il paleontologo Leroi-Gourhan (1963: 338-343) aveva decretato che la cucina è “un’estetica senza linguaggio” poiché il gusto non può essere rappresentato, per esempio, visivamente senza uscir fuori da sé: l’immagine di un pomodoro non ne trasmette il sapore. Ma già Floch (1995), proprio a partire dalla ricerca culinaria di Bras, aveva negato tale ipotesi mostrando la ricchezza semantica e la varietà narrativa che i testi culinari possono raggiungere, parlando un loro proprio linguaggio (cfr. cap. 3). Fontanille prosegue l’argomentazione di Floch mostrando come in questo discorso della cucina siano presenti anche altre dimensioni semiotiche, appunto di tipo enunciativo. E se l’enunciazione è, come s’è detto, un meccanismo formale che, mettendo in gioco i simulacri degli attori concreti della comunicazione (enunciatore ed enunciatario), detta le istruzioni per l’uso dei testi, e cioè il modo in cui essi possono (se non debbono) essere recepiti, le foto dei piatti di Bras fanno esattamente questo: “fanno sentire”, dice Fontanille, il piatto, prefigurano la loro dimensione polisensoriale sul solo piano visivo, quello dove sono in gioco categorie plastiche come la forma, la luce, il colore, le posizioni reciproche nel piatto-supporto, la texture e così via. La “messa in piatto” rappresentata nelle foto, da questo punto di vista, porta a percepire i sapori, a pregustarli, nonché a “condividere le impressioni gestuali, motorie e materiali della degustazione” (Fontanille 2004: 290 trad. it.). Le fotografie dei piatti, lavorando più che altro su un’articolata spazializzazione dei vari elementi della pietanza sulla superficie piana del supporto che li accoglie, presuppongono, o meglio costruiscono, un osservatore-degustatore che si avvicina, un po’ di sbieco, al piatto, ammirandone gli aspetti plastici nel momento stesso in cui si appresta a mangiarlo. Quello che abbiamo chiamato mangiatario, l’enunciatario della cucina, è sottoposto in tal modo a una “manipolazione delicata” (ibid.: 291)4 che gli permette di entrare nel piatto, predisponendosi a una degustazione che ne accetti, al di là dei valori gustativi, perfino gli aspetti giocosi, allegri, spensierati (questi ultimi presenti in Bras, secondo Fontanille, soprattutto nei dessert – ci torneremo).



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