Human Digital Events by Michele Franzese & Sebastiano Afeltra

Human Digital Events by Michele Franzese & Sebastiano Afeltra

autore:Michele Franzese & Sebastiano Afeltra [Franzese, Michele & Afeltra, Sebastiano]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Maggioli
pubblicato: 2021-12-20T23:00:00+00:00


Dopo la prima ondata di pandemia, s’è avuta una stabilizzazione. Anche perché si è capito che il fenomeno non è e non sarà temporaneo. Durerà sicuramente per l’intero 2021, probabilmente si estenderà anche al 2022.

Quindi, siccome la situazione perdurerà, quali formati credi saranno preponderanti? Ibridi o digitali?

Gli eventi ibridi hanno l’anima business: servono a differenziarsi. Hanno un’impostazione molto vicina a quella di un evento tradizionale: la scena, il teatro di posa… La differenza sta nell’assenza di pubblico. Quando ho cominciato a venderne, il focus per gli organizzatori di eventi fisici era il momento della presenza.

Quest’anno ho condotto il Lucca comics and games, un evento che solitamente porta in città oltre 500.000 persone. Ho presentato l’evento al teatro del Giglio. Da solo. Certamente non è stato come avere grande presenza di pubblico a cui si era abituati, ma è stato emozionante. Anche chi guarda in qualche modo partecipa.

La costruzione stessa dell’evento crea la sua identità, che diventa così molto più vicino a uno show televisivo. Diventa anche un modo per riconvertire il lavoro, per suggerire a chi organizza cosa fare e come fare. Gli ibridi allargano, coinvolgono prima e dopo l’evento, arrivando a chi è distante fisicamente.

Sull’altro fronte ci sono gli eventi digitali, che stanno vivendo una sorta di Medioevo, inteso “alla Barbero”, come periodo che fa da anticipatore di un Rinascimento, in questo caso con tempi molto più ridotti, si spera, perché si vedono i presupposti di un futuro importante. Serve ora fare lo step successivo per passare dall’epoca delle dirette a quella degli show. E in quest’ottica penso principalmente a Twitch.

Ho trovato interessanti i tentativi di replicare le fiere. Tuttavia credo che il lavoro sia ancora vittima di un bias della percezione: non dovremmo pensare di trasformare l’evento fisico in digitale, ma progettarlo e viverlo direttamente in digitale. Il digitale è un cortocircuito, non un riadattamento.

Dall’analogico al digitale: qual è l’equilibrio tra queste due forme?

La mia prima startup l’ho avviata a 15 anni, nel 1999. Ho già sperimentato l’approccio della Silicon Valley. Credo che la risposta sia nel bilanciamento. Ho lo studio di registrazione e produzione sotto il mulino della mia famiglia, da cui conduco gran parte degli eventi in questo periodo.

L’evolversi delle vicende negli ultimi anni procede per strappi forti, bisogna riadattare spesso e velocemente il proprio lavoro. Dal 2017 ormai lavoro in remoto, ma fino ad allora ho sempre lavorato in aziende classiche, quelle con uffici, scrivanie e macchine del caffè.

Il cambiamento sarà ancora così veloce?

Prendo spunto da Harari. Credo che il cambiamento potrebbe rallentare anche all’improvviso. Grazie alla tecnica l’uomo tende a diventare un “dio per sé”, creatore del proprio mondo, ma poi si abbandona facilmente a quest’ultima, perdendo quella capacità creativa “divina”.

Come detto anche in precedenza, siamo davanti a una trasformazione “medievale”, stiamo ancora cercando di capire cosa può offrirci questo nuovo scenario, che è pieno di possibilità e di contaminazione.

Con quali strumenti si lavora in epoca digitale?

Ho una risposta sintetica, che mira all’essenziale. Streamyard: partito come strumento semplice, ma diventato molto importante nel tempo. Ha coinvolto tutto il bacino dei microeventi.



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