Il ragazzo che andò via by Eli Gottlieb

Il ragazzo che andò via by Eli Gottlieb

autore:Eli Gottlieb [Gottlieb, Eli]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788833891873
Google: wrexzQEACAAJ
editore: Minimum Fax
pubblicato: 2020-02-15T17:43:12+00:00


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A quanto pareva l’unica via d’uscita era ammalarsi. Diventare rosso, irritato, stordito; sentirsi allungare verso l’alto e poi di colpo rimpicciolire, o provare la sensazione di avere la pelle tesa come un tamburo e che qualcuno la percuotesse. Inalando le venefiche particelle che ribollivano nell’aria sopra la fumosa discarica cittadina si poteva contrarre una malattia temporanea che immancabilmente ti tingeva la faccia di verde; bastava anche solo respirare a fondo gli effluvi di certe pozioni che Harta usava per conferire al proprio corpo il profumo di un giardino (il suo Prince Matchabelli gettava veri e propri incantesimi). Malattia significava riposo; malattia significava attenzioni; ma soprattutto la malattia era un espediente per distogliere l’attenzione della famiglia da Fad.

Un altro sicuro vantaggio di essere malati era che potevo guardare il Vietnam in tv senza essere disturbato, e per ore di fila. Quando non davano il baseball quell’estate c’era sempre il Vietnam, un susseguirsi di verdi colline ricoperte di foreste, piccoli uomini dagli occhi a mandorla e pacifici villaggi divorati dalle fiamme. Ben più pressante di quella del Vietnam era un’altra guerra, quella che infuriava in vividi colori per le strade d’America proprio sotto i nostri nasi. Era la guerra portata avanti contro la guerra del Vietnam dagli studenti, che in televisione in pieno giorno urlavano, correvano e cadevano come su un campo di battaglia. Quei ragazzi recavano cartelli e simboli di pace, eppure venivano regolarmente travolti dai cavalli della polizia. Il sangue sgorgava fra i lunghi capelli e tingeva le magliette. I maschi a volte arrivavano allo scontro fisico con le forze dell’ordine, sferrando pugni come durante i veri incontri di boxe.

La tv prese vita con un’esplosione di linee affusolate, che dopo un attimo assunsero le fattezze di giovani uomini dalla bocca spalancata armati di pesanti mitragliatrici. Era l’assedio della base aerea americana di Da Nang. Stavo male di nuovo, ero alle prese con un raro caso di mal di gola estivo. Guardavo americani neri con la testa avvolta di stracci trascinare al sicuro dei bianchi in un fiorire giallo e incandescente di esplosioni. Nelle città d’America i neri stavano vivendo una «lunga estate calda», un altro modo per dire che sull’onda del malcontento davano alle fiamme edifici e saccheggiavano negozi. Quella era un’altra guerra ancora, benché gli opinionisti ne parlassero come di una gigantesca epidemia, un «virus d’inquietudine» che si trasmetteva da una città all’altra aggravando il contagio. In televisione le varie guerre si fondevano in un unico, sconcertante nastro di violenza: neri tenuti a bada dalla polizia con gli idranti, aggrediti dai cani e inchiodati a terra, e poi neri che risorgevano nei panni dei soldati in divisa verde e puntavano armi tartaglianti verso il nemico «in difesa della libertà». A cadenza regolare la telecamera abbandonava le varie guerre per mostrare una conferenza stampa in cui un vespaio di militari americani si affannava a puntare il dito su questa o quella cartina, raccontando quelle che secondo Max erano balle grandi e grosse. La guerra del Vietnam era una bugia da capo a piedi, con un piccolo dettaglio: la combattevano persone in carne e ossa.



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