L'albero della morte by Clarice Tartufari

L'albero della morte by Clarice Tartufari

autore:Clarice Tartufari [Tartufari, Clarice]
La lingua: ita
Format: epub
editore: AliRibelli
pubblicato: 2019-05-26T22:00:00+00:00


IV.

Germana spalancò la finestra della sua piccola stanza per bagnarsi al sole e sentirsi rinascere. La sera innanzi al buio, rannicchiata sotto le coltri per farsi piccina e sentir meno il suo dolore, aveva creduto e invocato di morire; ma col tornare della luce un soffio di eroismo era entrato in lei, sollevandola al disopra della propria disperazione che, veduta così dall’alto, le era apparsa misera e deforme. A che cosa le serviva di essersi temprata sotto il maglio della volontà, se la passione riusciva così a travolgerla? No, voleva salvarsi, voleva che la ferita, ora aperta e sanguinante, da cui tutto il sangue delle sue vene pareva scorrere, si restringesse a poco a poco, si rimarginasse e la cicatrice restasse in lei come il segno di una suprema battaglia affrontata, e di una vittoria eccelsa conseguita.

Già riportava il premio del coraggio dimostrato la sera innanzi; il dolore cocente le maciullava tuttavia le carni; ma l’umiliazione se n’era andata e la malvagità non più le snodava in petto gli anelli freddi di piccoli rettili velenosi. Di fronte alla disperazione la giovinezza, circonfusa di raggi, sarebbe insorta a combattere ed il passato fosco si sarebbe sommerso a foggia di scoglio, che scompare agli occhi del navigante ardito, il quale superate le insidie dei vortici, si lancia alla conquista dello spazio, pronto a sfidare nuovi pericoli, pur di tentare l’approdo su lidi nuovi. Ma bisognava fuggire senza indugio, bisognava diffidare di sè. Per questo, dietro la scorta di un annunzio, era corsa all’albergo Exelsior ed aveva assunto impegno definitivo di recarsi a Shanghai, in qualità d’istitutrice, presso una ricca famiglia di commercianti milanesi. E adesso, immersa nel sole, si stringeva al petto le mani intrecciate, per trasfondersi vigore, e contemplava la colonna Traiana, che sotto la fissità del suo sguardo, sembrava innalzarsi lentamente per attingere il cielo, simile all’albero maestro di una nave prodigiosa solcante la vastità dell’azzurro.

La voce di Eva, morbida e piana, risuonò dall’attiguo salottino.

– Zeffira, preparami una limonata; ho sete.

Germana ebbe un brivido. Bisognava fuggire, bisognava fuggire se anch’ella, come gli altri, non voleva morire all’ombra dell’albero venefico, il quale non tollera nelle sue vicinanze nè vita di esseri, nè vegetazione di piante.

Eva la chiamò:

– Germana, Germana!

La ragazza si tolse il cappello e, opponendosi con la volontà agl’impeti del sangue in tumulto, rispose alla cognata entrando in salotto:

– Che cosa vuoi?

Eva la guardò stupita e le disse con sollecitudine sincera;

– Come sei pallida! Ti senti male?

– No, no, grazie. Ma che vuoi?

– Guarda; ti piace? – e spiegò una ciarpa frangiata di seta bianca ricchissima.

– Sì, è bella – Germana disse.

– Prendila, ne ho comperate due. Questa è per te.

Germana dette un guizzo all’indietro.

Di solito ella rifiutava i doni frequenti della cognata; li rifiutava con ira e disgusto; ma quel giorno volle imporsi di accettare per reazione contro la collera da cui si sentiva vincere, forse per la voluttà di assaporare sino alla feccia il calice del suo martirio. Allungò il braccio, prese la stoffa ondeggiante e disse con labbra contratte:

– Grazie.



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