L'amore non è un arrocco by Raul Montanari

autore:Raul Montanari [Montanari, Raul]
La lingua: eng
Format: epub
editore: Baldini+Castoldi
pubblicato: 2024-10-01T17:42:13+00:00

Capitolo 19

All’attacco!

(Con un sommesso elogio della difesa)

Mi sembra di sentire il coro: «Fra attaccare e difendersi è meglio attaccare, no?» L’idea di giocare in attacco si associa a immagini gloriose, eroiche, audaci. Chi non vorrebbe vivere da conquistatore, assaltare i problemi come se fossero roccaforti del nemico e abbatterli, invece di stare rannicchiato a parare i colpi? La risposta in realtà non è così ovvia.

Negli scacchi, i giocatori portati esclusivamente all’attacco hanno un destino ricorrente. Diventano gli idoli del pubblico, le loro partite più brillanti vengono pubblicate nei libri, perfino i loro avversari li hanno in grande simpatia… visto che spesso li battono. Scorrendo l’elenco dei campioni del mondo dall’Ottocento a oggi troviamo una prevalenza di giocatori dallo stile eclettico, universale, capaci di fare bene tutto. Poi ci sono almeno tre specialisti del gioco attendista e difensivo. Infine un solo vero attaccante puro, Michail Tal. E se ce n’è uno solo – oltre a tutto un giocatore di tali incredibili, irripetibili, stregonesche capacità da essere stato soprannominato «il mago di Riga» – può significare una cosa soltanto: che in questo gioco la difesa paga più dell’attacco.

I giovani scacchisti di solito amano partire all’offensiva perché questo rispecchia l’intraprendenza della loro età, la voglia di sfidare se stessi e la sorte, di spostare i limiti sempre più in là e vedere fin dove si può arrivare. I coetanei rischiano l’osso del collo correndo in moto, sperimentano droghe e si addentrano in territori sessuali ignoti; loro invece aggrediscono gli avversari con audaci sacrifici di pezzi per forzare lo scaccomatto, li stordiscono con mosse pirotecniche e imprevedibili. Be’, a dir la verità i due terreni su cui si possono correre rischi in ossequio all’incoscienza adolescenziale, cioè la vita e gli scacchi, non si escludono a vicenda. A quell’età io non solo attaccavo come un pazzo, ma per poco non ci ho rimesso la pelle in alcune circostanze che non avevano nulla a che fare con alfieri e cavalli.

Sta di fatto che con il solo gioco offensivo non si va lontano. Agli occhi dei maestri, degli esperti, i giovani scacchisti destinati a farsi strada si riconoscono facilmente proprio per l’equilibrio fra l’istinto aggressivo e una precoce maturità nel curare la difesa, nel domare l’impazienza di travolgere l’avversario e accontentarsi, quando è la cosa migliore da fare, di costruire lentamente l’edificio della vittoria, un mattone per volta. E, ogni volta che è necessario, difendersi con sangue freddo, nervi saldi e creatività secondo l’antico precetto del judo, la tecnica di lotta basata sul lasciarsi attaccare per sbilanciare l’avversario: sfrutto il tuo slancio in avanti per farti volare a terra. Sembra un’arte raffinatissima e in effetti lo è. Ma è anche una cosa che viene abbastanza spontanea, più di quanto si creda.

Giocare in difesa soddisfa infatti alcune tendenze profonde non solo dell’uomo ma probabilmente di qualsiasi forma di vita: la vita, intesa proprio in senso biologico, è anzitutto conservazione di sé prima di essere espansione. Pensiamo all’istinto di sopravvivenza, che probabilmente è il più primitivo e il più radicato di tutti e che non ci suggerisce di avventurarci all’attacco ma di proteggerci.

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