La badante di Bucarest by Gianni Caria

La badante di Bucarest by Gianni Caria

autore:Gianni Caria [Caria, Gianni]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Il Maestrale
pubblicato: 2024-03-27T23:00:00+00:00


15

Finalmente mi hanno dato la mia ciotola di riso, il mio primo stipendio. Ottocento euro fruscianti, contati cinquanta a cinquanta da Margareta, per l’occasione al tavolo della sala da pranzo. Ho firmato una ricevuta, almeno credo che lo fosse, e ho portato quel tesoro nella mia stanzetta, salendo con circospezione le scale, come temessi di essere assalita dai banditi.

Ce li ho qui, in mano, e li tengo stretti stretti. Ecco la mia paga, ecco ciò che valgo. Qui dentro c’è tutto, ogni cucchiaiata di zuppa, ogni pannolone rimosso. È un piacere solo mio sapere esattamente quanto valgo, nessuno può barare e pensare che lo stipendio non corrisponda al mio effettivo valore. Non faccio un lavoro intellettuale, non mi posso crucciare per come vengono considerate in maniera inadeguata la mia intelligenza e la mia preparazione. Sono proprio contenta, so come ho guadagnato ogni pezzetto di quei sedici foglietti.

Ma ora non so che farne. So cosa devo farne, ma non so che farmene di questo riconoscimento. A chi posso mostrare l’attestazione della mia fatica?

So cosa devo farne, perché devo mandare seicento euro a casa. Non mi dimentico, certo che non mi dimentico. So però che quelli che li riceveranno non distingueranno nella filigrana delle banconote la trama sottile della mia umiliazione.

Se dai soldi potessi staccarmi e basta forse non mi dispiacerebbe. Ma c’è un passaggio preliminare, una necessaria telefonata a casa per annunciare il loro arrivo. Sto a guardarli, ormai stropicciati, e mi viene il pensiero cattivo di non mandarli. Perché dovrei? Qualcuno là si preoccupa per me, qualcuno mai mi chiama per sapere quanto piscio ho raccolto oggi? Me li tengo per me, ma non li spendo, li conservo e li guardo tutti i giorni, per dimostrarmi che adesso sono io la più forte, ve li darò quando li avrete meritati.

Il mio astio mi fa star male. Farò la brava mammina, la brava moglie, e contribuirò in maniera cosciente e razionale al disastro della mia famiglia, alla mia ipocrisia. Li sentirò, alla fine, domani.

È il mio giorno di libertà e scelgo un telefono fuori di casa, una delle ultime cabine rimaste al centro di Bucarest.

“Pronto?” La voce rosolata mi accoglie, con solo un attimo di incertezza.

“Pronto,” rispondo, e non devo aggiungere altro per farmi riconoscere.

“Maria…” e si sospende “Maria…” cercando parole normali, condivise. Gli esce un trito “Come stai?” non diverso dal mio ritrito “Grazie, va tutto bene.” Ripenso – non ne posso fare a meno – a quando appena fidanzati irridevamo i modi e le forme del parlare, le lunghe chiacchierate sul tempo di vecchi colleghi di lavoro ormai pensionati che si incontrano per caso davanti all’edicola.

Potrei continuare con i convenevoli, senza tralasciare nessun membro della famiglia, fino ai rami collaterali. Ma taglio e vado oltre:

“Ho ricevuto il mio primo stipendio e vi manderò seicento euro, con un money transfer, pensavo. Volevo avvisarti.”

“Ma ti rimane qualche soldo?”

“Sì, duecento, ma qui non ho molto da spendere. Fanno più comodo a voi,” e mi scappa un “voi” che significa “voialtri”, voialtri a cui non appartengo, altri da me e dalla mia vita.



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