La forza del numero e la legge della ragione by Francesco Galgano

autore:Francesco, Galgano [Galgano, Francesco]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Diritto, Saggi
ISBN: 9788815140579
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2008-10-14T22:00:00+00:00

1. La maggioranza come soggetto politico

La maggioranza che Locke aveva propugnato, quale regola di governo di una società di uguali, doveva essere «figlia del caso», frutto dell’aggregazione dei voti liberamente e spontaneamente espressi dalla eterogenea moltitudine degli elettori; ed era, nell’assemblea legislativa così eletta, frutto imprevedibile del libero dibattito assembleare. Nella realtà, già nella realtà inglese del secolo di Locke, e sia pure nei limiti del ristretto suffragio su cui si basava l’elezione della Camera dei Comuni, il voto dei singoli era orientato da partiti politici, quali il partito Tory e il partito Whig, rispettivamente noti come il Court party e il Country party; e le maggioranze che si formavano nella Camera dei Comuni erano maggioranze precostituite all’interno di quei partiti. Ma nel pensiero di Locke non c’era spazio, come non ci sarà in quello di Rousseau, per i partiti politici, concepiti da entrambi come fattori di divisione del popolo e di discordia fra i cittadini.

È probabile che nei partiti essi vedessero riprodursi il germe delle laceranti fazioni che avevano sconvolto la Roma antica (Mario e Silla, Cesare e Pompeo) e la Firenze medioevale (guelfi e ghibellini). Certo, l’avvento dei partiti contraddiceva la loro visione della società politica; spostava i centri decisionali fuori delle sedi istituzionali, rischiava di vanificare i meccanismi della democrazia rappresentativa. La formula, poi coniata, dello «Stato di partiti», e non più Stato di cittadini, quale nuova forma di Stato, avrebbe confermato la fondatezza di questo loro timore[1]. E tuttavia già nell’Illuminismo inglese, in particolare nel pensiero di David Hume, il partito politico avrebbe trovato il primo riconoscimento della propria legittimazione, non quale espressione di interessi di parte, ma quale «partito di princìpi»[2]. I partiti, ripeterà il nostro Marco Minghetti, differiscono fra loro non per il fine, che è in tutti «il bene della patria», ma «nel giudizio dei mezzi che vi conducono»[3]; e l’autonomia del partito politico apparirà allo scrittore bolognese garantita dal divieto di mandato imperativo, che rende il partito libero da vincoli imposti da particolari gruppi o organizzazioni di interessi[4].

Solo nel XX secolo i partiti politici riceveranno riconoscimento nelle carte costituzionali[5], e tuttavia essi avevano assunto, di fatto, una crescente importanza a misura che il suffragio elettorale si era allargato fino a raggiungere il suffragio universale. Si è usata una felice metafora quando si è scritto che il suffragio universale ha avuto, per l’ascesa dei partiti politici, la stessa importanza che l’introduzione della macchina a vapore ha avuto per lo sviluppo economico[6]. Il nesso è evidente: l’allargamento del suffragio elettorale estende i diritti politici a sempre nuovi e sempre più eterogenei gruppi sociali, portatori di interessi differenziati; i partiti politici ne diventano la forma di stabile rappresentanza parlamentare[7], o diventano, nella lettura di Antonio Gramsci, le élite capaci di interpretarne i bisogni e di conquistarne il consenso[8]. L’Illuminismo aveva concepito il rapporto politico come rapporto diretto fra il cittadino e lo Stato, non ammetteva che fra l’uno e l’altro si interponessero intermediari. Ma proprio il suffragio universale, che l’Illuminismo aveva sollecitato, rendendo eterogenea la

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