Pop. Coma la cultura giapponese ha conquistato il mondo by Matt Alt

Pop. Coma la cultura giapponese ha conquistato il mondo by Matt Alt

autore:Matt Alt [Alt, Matt]
La lingua: ita
Format: epub
editore: add editore
pubblicato: 2023-04-12T22:00:00+00:00


IL NUOVO SECOLO DEGLI ANIME

otaku

Persona particolarmente interessata a uno specifico genere o argomento, straordinariamente ben informata al riguardo, e socialmente impacciata.

Kōjien (dizionario giapponese), 6a edizione, 2008

La stragrande maggioranza dell’animazione giapponese è prodotta da esseri umani che detestano la vista di altri esseri umani.

Miyazaki Hayao, 2014

Il 18 luglio del 1997, una strana pubblicità comparve nel quotidiano «Asahi Shinbun». Era tra le anteprime di due film: a sinistra, il volto sorridente del defunto Tezuka Osamu promuoveva il nuovo Janguru Taitei (Kimba – La leggenda del leone bianco), a destra, un anime intitolato Tamagotchi Honto no Hanashi (la vera storia dei Tamagotchi). La pagina di mezzo, invece, non somigliava per niente a quei vivaci inviti al cinema. In netto contrasto con le loro grafiche vistose, era un muro di solo testo, una disordinata serie di dichiarazioni frammentarie, trentatré in tutto. Eccone un estratto:

Un oceano di disperazione […] La crudeltà degli estranei […] Un desiderio di annullamento […] Ansia da separazione […] Pensieri pericolosi […] Isolamento […] Insicurezza […] Giorni vuoti […] Brama di distruzione […] La fine dei sogni.

E poi, una chiusa da pugno allo stomaco: «Quindi, perché sei qui?».

Cos’era questa lista della spesa? Sintomi? Il messaggio d’addio di un suicida? Una réclame insolitamente provocante per un libro di autoaiuto? Nulla di tutto ciò. Sotto le frasi c’era il logo di un film d’animazione, intitolato The End of Evangelion. Era la pubblicità di un cartone animato.

Si direbbe una pessima scelta per promuovere un film estivo, eppure funzionò. Folle di giovani fan si precipitarono al cinema settimane prima dell’uscita del film, mettendosi in fila a centinaia per assicurarsi i biglietti in prevendita. Per incassi, The End of Evangelion sarebbe stato il quarto film in Giappone di quell’anno. (Il primo posto andò a un altro anime, il film di Miyazaki Hayao La principessa Mononoke, che superò di molto i blockbuster hollywoodiani come Independence Day e Speed.) Qualche mese più tardi, The End of Evangelion avrebbe vinto il premio dell’Associazione giapponese dei proprietari di cinema per il «film più discusso» del 1998. In qualche modo, il film più deprimente della stagione era diventato un fenomeno.

Che i reietti della società potessero identificarsi con un protagonista solitario e impotente come l’eroe di Evangelion, Ikari Shinji, non era una sorpresa. Ma che i giovani di tutto il Giappone si rivedessero in lui – o in uno degli altri, altrettanto emotivamente danneggiati personaggi – lo era eccome. Mentre la cupa fantasia di Evangelion affascinava la nazione, allarmati titoli di giornale parlarono di una moda «che riflette una generazione malata». Fossero stati più onesti, avrebbero scritto che a essere malato era il Paese intero. Il Giappone del 1987 era stato in ascesa sotto ogni aspetto, quello del 1997 era un caso di studio sugli effetti di una prolungata depressione economica, sia sulla società sia sugli individui. Poco era cambiato dopo il terrorismo e le catastrofi naturali del 1995, e i giovani faticavano ancora a fare piani per un futuro che, in una recessione di cui non si vedeva la fine, appariva sempre più nero.



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