Storia dell'arte e storia civile by Michele Dantini;

Storia dell'arte e storia civile by Michele Dantini;

autore:Michele, Dantini; [Dantini, Michele ]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Saggi
ISBN: 9788815371003
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2022-07-15T00:00:00+00:00


L’antitesi è già stabilita: da una parte l’Italia, di cui si dà un’immagine qui mitica, agreste e numinosa; dall’altra l’America, con la sua irreligiosità, il divieto sociale di parlare di sofferenza, malattia e morte, l’ossessione efficientistica, le pubbliche relazioni, «tecnica» e «pubblicità»[33]. Quello che a noi qui interessa di più è il ruolo decisivo che, in tale contesto, viene a giocare l’arte. È l’arte che media, offre, intercede. Gli italiani sono da sempre introdotti alla familiarità con il Divino da immagini dipinte o scolpite: queste costituiscono la madrelingua della penisola, per colti e incolti, indifferentemente. Nessuna differenza sostanziale, per Levi, passa tra l’evo pagano e l’evo cristiano: perché la Chiesa, aggiunge, ha accolto l’ingenua adorazione delle immagini che era propria dei popoli latini e prelatini, di quell’«umile Italia» di cui parla Virgilio, al cui cospetto si presenta Enea. Il rapporto tra l’arte e gli italiani è appunto di adorazione: né di raziocinante ispezione né tantomeno di sospetto. E questo vivente sincretismo pagano-cristiano, al cui interno l’Antico sopravvive rigenerandosi in forme sempre nuove, è il segreto di un’«unicità» oggi a rischio per i nuovi equilibri politico-economici-militari mondiali, ferita dalle distruzioni belliche, minacciata dall’«imperialismo», insidiata dalla mutazione culturale e sociale, cioè, in primo luogo, dall’abbandono delle campagne e dall’emigrazione: è questa continuità, che Levi chiama «contemporaneità», che occorre preservare, scongiurando irrigidimenti antiquari nella conoscenza, derive turistico-commerciali nell’amministrazione del Patrimonio, distruttivi «cosmopolitismi» e retoriche di tabula rasa nel contemporaneo[34]. L’arte più recente, per Levi, merita sì di essere riconosciuta come «bene culturale», come risorsa di interesse pubblico dunque, ma a una condizione: che essa partecipi di questa continuità, propiziando e rigenerando. Tutta l’arte, per altri versi, persino la più antica, dev’essere intesa come contemporanea: purché l’interprete perspicace, non importa se storico, critico o artista, sappia liberarla dal «bozzolo», innalzarla a «farfalla», generazione dopo generazione. Nell’aprile 1964, in occasione del dibattito sull’istituenda “Commissione di indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio”, afferma in Senato:

Il volto, la sostanza, la storia, il futuro del nostro Paese, che vogliamo tutelare attraverso la tutela delle opere d’arte e del paesaggio, è qualcosa che tutti insieme, giorno per giorno, andiamo costruendo, come l’hanno costruito i nostri antichi; è un bene comune e universale, quello che ci dà una specifica individuata natura che permette a ciascuno di essere quello che è, contribuire alla civiltà comune in modo specifico e reale. Il continuo mutamento delle cose è la vita nel suo svolgersi, ma l’azione che affidiamo oggi alla Commissione parlamentare e a tutti i cittadini deve essere con piena coscienza l’affermazione civile del valore umano dell’uomo, della sua capacità di esistere come persona nella storia, che è l’invenzione della libertà[35].



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