Variazioni sul Cantico dei cantici by Christos Yannaras

Variazioni sul Cantico dei cantici by Christos Yannaras

autore:Christos Yannaras [Yannaras, Christos]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Sequela oggi, Bibbia, Narrativa, Letteratura, Antropologia e sociologia, Poesia
editore: Qiqajon
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


IMITAZIONE

Tutta bella sei tu, vicina mia.

In te nessuna macchia.

Ct 4,7

Tutta bella la natura, compagna di giogo, vicina, rasente, alla vita. Mia e non mia 58, vicinissima e lontanissima immediatezza. E sempre ribelle a essere immobilizzata in una costante circoscritta. Segno del divenire, la natura, termine comprensivo del modo. Il modo, logos della bellezza, pungente chiamata del desiderio della relazione. La chiamata, tangibile; la relazione, intangibile. Distanza tangibile e vicinanza intangibile, come nella trasparenza smeraldina della riva e nell’immensità blu profondo del lontanissimo. Immediatezza impalpabile quanto il fascino del sorriso.

Corpo della terra, incanto del logos della natura, e la chiamata dell’incanto universale tangibile nella carne umana. Verdeggianti curve di colli; morbidezza, pari a petali di rosa, di ondeggiamenti della carne. Ritmi di rive, piccole rade tratteggiate a matita, vivo fremito nella buccia di un frutto maturo. Scorrono le dita nell’incedere della fanciulla; un murmure dell’acqua trasparente che corre celere sulla sabbia. Le gambe, tornite nell’alabastro, salgono senza fine per versarsi nella turgida carne dei gigli. Gemelli di gazzella i suoi seni, tutta la tenerezza dei fiori lì palpita, e il pistillo dei suoi capezzoli mesce l’ebbrezza. Il collo, stelo eretto; i suoi capelli, gregge di capre che scendono leste i pendii. Il sorriso, luce della prima aurora; gli occhi, cielo primaverile nella trasparenza del lago.

Ebbrezza della primavera che fa impazzire gli insetti nei calici dei fiori. Raffiche di aquilone, brezze di austro sugli ebbri fuscelli del corpo; rimbomba il canto del mare nel pube degli intimi gigli. Natura nella tensione del desiderio.

La natura del mondo era ormai una compiuta melodia, un riflesso universale dell’impulso unitivo del desiderio, della chiamata all’immediatezza erotica. E il modo della natura, un logos incarnato nella distinzione degli uomini in maschio e femmina. “Allora Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto bella” (Gen 1,31).

Come può essere “molto bella” la natura, quando include l’eventualità della morte? Ma identica è la domanda che interessa la luce: include essa forse l’eventualità della tenebra, o la tenebra è solo diniego, un volontario celarsi all’illuminazione vitale? Al flauto della natura non si esegue, automaticamente, la melodia della vita, può essere anche suonata la funebre lamentazione della morte. Alla libertà del flautista competono uso e modo.

La natura, melodia erotica del Capomastro, era ed è mirabile eco della vita. Melodia creata, capace di echeggiare il modo dell’increato, la vita che non ha restrizioni. Ma anche capace di rispondere, a mo’ di antifona, al modo della morte, alla finita autosufficienza del creato.

“Io ho detto: ‘Siete dèi e figli dell’Altissimo, tutti. Ma voi, come uomini, morirete’” (Sal 82,6-7). Sì, ignoriamo ciò che siamo; conosciamo soltanto il divenire della nostra corruzione naturale e della morte. Tangibile e sicuro soltanto ciò che rifiutiamo; inaccessibile e inafferrabile ciò che desideriamo. L’immortalità: un’ideazione immaginaria, o soltanto un desiderio e una speranza disincarnata. In che misura, però, conosciamo realmente i confini della natura e della grazia, il salto della vita oltre il divenire della corruzione e della morte?

Se la sottomissione della natura alla mortalità è una possibilità e



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