Verso la cuna del mondo by Guido Gozzano
autore:Guido Gozzano [Gozzano, Guido]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Sinapsi Editore
pubblicato: 2024-03-22T00:00:00+00:00
LâImpero dei Gran Mogol
⦠24 gennaio 1913.
Il distacco tra lâIndia braminica e lâIndia islamitica si fa più intenso via via che si sale verso il Nord. Si direbbe che lâIslam prediliga in ogni parte del mondo le terre desolate, i deserti e le steppe; anche in India occupa lâimmensa parte centrale e settentrionale e può servire a delineare i confini delle provincie riarse. Perchè è un preconcetto oleografico, una leggenda da libri dâavventura che lâIndia sia coperta da una vegetazione meravigliosa. Le foreste tropicali, dense, decorative come scenari da melodramma, occupano soltanto la costa del Malabar, lâisola di Ceylon, i monti Nir-Ghirli, le valli dellâImalaya. Ma dove cessa il beneficio dei monsoni e delle pioggie periodiche, cioè in quasi tutto il Deccan e le pianure del nord, domina la magra vegetazione dellâIslam: scompaiono il cocco ed il banano, svelti compagni delle pagode, appaiono il palmizio rigido, il cipresso cimiteriale, compagni delle moschee e dei minareti.
Si viaggia da due giorni in queste ferrovie che chiudono in una rete fitta tutto lâImpero immenso, e che gareggiano con quelle americane in velocità vertiginosa. Ma il paesaggio, per giorni e giorni, resta invariato. Lâimmensa pianura fulva (il rosso della terra e il gracidìo dei corvi sono la nota visiva e auditiva di queste contrade) che durante la stagione delle pioggie rinverdisce in campi di riso e di miglio, è tutta riarsa in questi mesi di siccità . Le palme-palmira, gracilissime, sâinnalzano nellâazzurro del cielo come caricature di palmizi, nibbi ed avvoltoi si librano nellâinfinito abbagliante: allâorizzonte, sulla zona sanguigna, passano, come ombre cinesi, mandre velocissime di gazzelle. Fiancheggiano la linea grandi cacti a candelabro, tinti in rosso da una parte, dalla polvere sollevata dal vento della steppa, e alla sommità dâogni fusto è appollaiato un avvoltoio meditabondo che al rombo del treno appena si degna di protendere il capo calvo sul collo serpentino o di distendere una delle immense ali macabre. Mandre di bufali e di zebù sollevano, voltano la testa indolenti, e falangi di corvi gracchiano sui loro dorsi gibbosi, sâavventurano fino alla bocca per beccarvi i tafani e le mosche. Si entra talvolta in foreste dâalberi enormi, dai tronchi nodosi e contorti: ma tutto è fulvo e riarso anche qui: i rami rivestiti di fronda arida, come le nostre quercie in dicembre, dà nno al paesaggio una tinta invernale che stona col cielo implacabilmente estivo. Nella foresta morta spiccano zone di un bel verde biacca: miriadi di pappagalli minuscoli che ricordano le foglie vive, o fasci di brace azzurra e smeraldina: famiglie di pavoni appollaiati sugli alti rami. Poi si esce dalla foresta morta ed ecco ancora la steppa senza fine con i suoi cacti spettrali ed i suoi avvoltoi. Si divora lo spazio, il tempo passa, ma il paesaggio non muta.
à lâora triste: lâora in cui il viaggiatore si domanda a quale scopo ha lasciato lâItalia bella, anticipandosi questo paesaggio infernale. Distolgo lo sguardo dallo scenario triste. Siamo nel dining-car; indugiamo dopo il caffè, per avere intorno lâillusione di un poâ dâEuropa che
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