A ciascuno il proprio Dio by Francesco Vidotto

A ciascuno il proprio Dio by Francesco Vidotto

autore:Francesco Vidotto [Vidotto, Francesco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EDIZIONI PIEMME
pubblicato: 2023-04-06T12:00:00+00:00


14

CA’ FOSCARI

(Parte II)

Il mio periodo universitario post naja lo chiamerei principalmente: “treno”.

Cercai in tutte le maniere di convincere i miei genitori ad affittarmi un buco a Venezia.

Tre stanze.

Due stanze.

Una stanza.

«Sono cresciuto. Adesso studio» dicevo.

Ma ne avevo dette troppe.

Non ne vollero sapere.

Mi comperarono un abbonamento invece: Stazione di Conegliano – Stazione di Venezia Santa Lucia e ritorno.

Punto.

Così, come vi ho accennato, ogni santo giorno montavo sul primo treno stipato di persone peggio delle sardine e mi addormentavo in tempo zero.

Uscivo dal tepore delle coperte ed entravo nel tepore dei troppi respiri.

Sgomitavo, mi facevo spazio, cercavo un posto, mi sedevo, poggiavo la testa contro il finestrino e dormivo della grossa.

Russavo che non mi si poteva stare vicino.

Una volta mi svegliai di soprassalto che stavo per perdere la coincidenza e avevo la bocca spalancata e la giacca sporca della mia bava.

La suora che mi sedeva dinnanzi mi guardò e accennò a un sorriso benevolo.

«Mi scusi» le dissi.

«Dio la benedica» mi rispose.

«Speriamo!»

Quando invece non c’era posto dormivo in piedi, come i cavalli, sostenuto dalle pareti rivestite di formica e dalle schiene delle altre persone.

L’apoteosi dei miei viaggi da pendolare la raggiungevo d’autunno quando l’acqua della laguna straripava e mi aspettava alla fine della scalinata della stazione.

In quelle occasioni, ancora intontito dal sonno toglievo le scarpe e i calzini, ficcavo il tutto nello zaino, arrotolavo i pantaloni sopra al ginocchio e mi incamminavo per le calli che parevo un vietnamita nelle risaie.

Sul mio diario annoto:

«La vita fa acqua da tutte le parti».

Quegli anni mi videro completamente annullato.

Rallentai con il bere fin quasi a smettere.

Rallentai con gli amici.

Rallentai con la vita.

Quando non ero all’università studiavo come un matto rinchiuso nel seminterrato di casa dei miei genitori perché non mi venisse voglia di uscire.

Non rispondevo al telefono e quando qualche amico veniva a suonare il campanello facevo dire che ero fuori.

Avevo paura di cedere alle tentazioni.

Proprio come quando stai con una donna molto a lungo: l’unico modo per non tradire è quello di evitare le occasioni.

Di non mettere il sedere nelle pedate.

Studiavo, frequentavo le lezioni, la sera andavo a correre e controllavo la posta.

Punto.

Ricevetti altre lettere sempre da parte del fantasioso mondo dell’editoria che rispondeva in ciclostile:

«Abbiamo letto il suo romanzo ma non rientra nella nostra linea editoriale».

Ancora!

Fanculo.

Ancora.

Presi a macinare esami.

Ne preparavo tre e andavo a farne cinque.

Volevo finire il prima possibile.

Ricordo un giorno in cui mi recai nell’aula di Santa Marta per sostenere la prova di Storia economica.

Una materia che iniziava dalla Preistoria e finiva sul ciglio della Prima guerra mondiale.

Mi domandavo a cosa servisse imparare ogni cosa sul baratto della carne mentre il mondo viaggiava su frequenze digitali.

«A passare l’esame, serve» mi rispondevo.

Risposta sufficiente.

Sul mio diario annoto:

«L’ignoranza fa bene alla testa, al core e alla panza».

A ogni modo quel giorno me ne stavo lì a camminare spedito verso il dipartimento di Economia quando vedo una folla di studenti assiepati attorno a una porta dell’aula di Diritto.

Avevo un paio d’ore d’anticipo per cui mi fermai.

«Cosa succede?» domandai a un tale.

«C’è l’esame di Tributario, solo che il prof sembra assente.



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