Albert Camus. Vivere in tempi di catastrofe by Catherine Maubon

Albert Camus. Vivere in tempi di catastrofe by Catherine Maubon

autore:Catherine Maubon [Maubon, Catherine]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Clichy
pubblicato: 2022-02-16T23:00:00+00:00


La peste: «l’ostinazione della testimonianza»

Nel 1947, La peste apre il ciclo della rivolta, segnando il passaggio dall’individuale al collettivo, e un conseguente ingresso nella storia. Facendo del racconto del flagello, simbolo dell’occupazione nazista, il memoriale dell’«atmosfera di minaccia e di esilio nella quale abbiamo vissuto», Camus sottolinea, più di altrove, il ruolo eminentemente pedagogico della memoria. Il nazismo è stato sconfitto, ma, nella misura in cui il terrore risorgerà sotto una forma o l’altra, bisogna testimoniare contro l’orrore appena vissuto. Quando, alla fine della cronistoria che ha tenuto nel corso della sua lotta contro la peste, il dottor Rieux si chiede, stanco e senza illusioni, che cosa poteva aver guadagnato in una partita che troppi avevano perso, Camus gli fa rispondere senza esitazione: «Aveva soltanto guadagnato di aver conosciuto la peste e di ricordarsene, di aver conosciuto l’amicizia e di ricordarsene, di conoscere l’affetto e di doversene ricordare un giorno. Quanto l’uomo poteva guadagnare, al gioco della peste e della vita, era la conoscenza e la memoria» (O, 601).

Alter-ego del futuro Premio Nobel, Rieux si è messo al servizio di quelli che «subiscono la storia» non di quelli che la fanno. Convinto che, di fronte alla peste, la sola parola d’ordine fosse la rivolta, ha improvvisato, nell’hic et nunc della contingenza, quell’«arte di vivere in tempi di catastrofe» alla quale Camus dedica la sua vita-scrittura e io questo piccolo libro. Per meglio resistere al male, ha rifiutato, insieme ai suoi concittadini, di piegarsi alla disperazione, di rifugiarsi nel nichilismo, di abbandonarsi all’atroce sentimento d’esilio e di separazione imposto dal terrore. Chiusi entro le mura della «città soffocata», hanno sofferto insieme nella loro carne come nel loro cuore ma non hanno mai perso il ricordo della «vera patria», hanno continuato a percepirne il richiamo «nei cespugli odorosi sulle colline, nel mare, nei paesi liberi e nelle catene dell’amore». Ed è «verso di lei, verso la felicità» (O, 608) che, nella notte dei festeggiamenti, la città liberata si gira, dimentica però che il bacillo della peste scompare ma non muore.

È allora che Rieux ha deciso di «parlare a nome di tutti per testimoniare a favore degli appestati, per lasciare almeno un ricordo dell’ingiustizia e della violenza che gli erano state fatte», ben sapendo che questa cronaca non poteva essere quella della vittoria definitiva. Essa «non poteva essere che la testimonianza di quello che si era dovuto compiere e che, certamente, avrebbero dovuto ancora compiere, contro il terrore e la sua instancabile arma, […] tutti gli uomini che non potendo essere santi e rifiutandosi di ammettere i flagelli, si sforzano di essere dei medici» (O, 615). Del resto, «chi risponderebbe in questo mondo all’ostinazione del crimine se non fosse l’ostinazione della testimonianza?».



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