alfabeta2 n.33 by AA.VV
autore:AA.VV.
La lingua: ita
Format: mobi, epub
editore: Alfabeta Edizioni, sede legale via Tamagno 3 20124 Milano
pubblicato: 2013-12-09T23:00:00+00:00
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ALFA63
Il Gruppo 63 e le sue omologie storiche
Renato Barilli
Sono sempre più convinto che l’emersione del Gruppo 63 si debba valutare collegandola strettamente a fattori di ordine sociale-economico-tecnologico manifestatisi negli stessi anni. In ciò adotto il metodo suggerito dal francese Lucien Goldmann, anche se da me conosciuto un momento dopo i fatti di Palermo, ma in seguito applicato con convinzione. Si tratta del suo ricorso alle «omologie», che consistono nel dichiarare che le proposte nate nell’ambito artistico e letterario sono strutturate secondo gli stessi schemi che reggono nello stesso tempo le svolte dell’ordine basso, ovvero della cosiddetta cultura materiale. Va precisato che il rapporto di omologia non è di subordinazione, ovvero le innovazioni di carattere letterario-artistico non sono determinate dalle altre provenienti dal basso, ma agiscono sullo stesso piano e con la medesima dignità, senza «suonare il piffero», per dirla con Vittorini, alle rivoluzioni nate altrove. Le nostre furiose contestazioni rivolte a Cassola, Pratolini, Pasolini erano provocate proprio dal fatto che la loro narrativa rimaneva succube di un’Italia contadina, restia ad accettare gli effetti di una seconda rivoluzione industriale, quella stessa che proprio all’alba degli anni Sessanta immetteva una pletora di oggetti, con relativa necessità di adottare un lessico opportuno per nominarli, e anche una nuova sintassi «velocizzata» per collegarli tra loro, secondo i ritmi anch’essi accelerati imposti dal progresso tecnologico.
Goldmann, che – non dimentichiamolo – proponeva i suoi metodi per farci comprendere il da me amatissimo Robbe-Grillet e il nouveau roman, impostava anche un altro principio illuminante: il carattere «secondo» del nuovo ciclo industriale seguiva a quello del primo Novecento, che era stato più limitato, isolato, di scarsa estensione, e prodotto da capitani d’industria solitari e d’eccezione, i Ford e Rockefeller, che si potevano considerare omologhi alle innovazioni anch’esse eroiche ma solitarie dei Pirandello e Joyce e Proust, come del resto dei vari protagonisti del cubo-futurismo o del dadaismo. Da qui la necessità che, dopo la pausa recessiva del periodo tra le due guerre, seguisse finalmente una fase espansiva, ma più vasta, estesa nella quantità, e anche più democratica, condotta questa volta in forme più anonime. Spariscono i capitani d’industria, subentrano i manager intercambiabili. È quanto Eco, allora, ha detto mirabilmente parlando di una generazione di Vulcano, per i padri fondatori, e di una generazione di Nettuno, per noi continuatori mezzo secolo dopo. Da qui anche le mie formule di un compito normalizzante e abbassante che ci toccava in sorte, compito fondamentale proprio per estendere, per far entrare nella pelle di tutti quanto in precedenza era stato aristocratico ed elitario. Da qui in definitiva il festival dei «neo» con cui l’intero orizzonte creativo sorto tra la fine dei Cinquanta e gli inizi dei Sessanta si è manifestato ovunque, nel mondo occidentale, in rapporto omologico con la «nuova» fase di industrialismo. Per noi l’etichetta più comune restava quella di neoavanguardia, il fenomeno di punta fu senza dubbio l’antologia dei Novissimi, nella narrativa occorreva agganciarci al nouveau roman francese.
È anche interessante verificare come andavano le cose nell’ambito delle arti visive:
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