Almond. Come una mandorla by Won-Pyung Sohn

Almond. Come una mandorla by Won-Pyung Sohn

autore:Won-Pyung Sohn [Sohn, Won-Pyung]
La lingua: ita
Format: epub
editore: HarperCollins Italia


38

Per citare le parole della nonna, una libreria è un posto densamente popolato da migliaia di autori, morti o viventi, che abitano fianco a fianco. Ma i libri sono silenziosi. Rimangono muti come tombe finché qualcuno non apre una pagina. Solo allora riversano fuori le loro storie, con calma e precisione, quel tanto che mi consente di godermele.

Sentii un fruscio tra le pile di libri e sollevando lo sguardo vidi un ragazzo tutto pelle e ossa con il colletto della camicia all’insù ritrarsi imbarazzato prima di scomparire dietro lo scaffale. La chiazza a forma di stella sulla sua testa attirò la mia attenzione. Dopo un po’, una rivista per adulti atterrò sul bancone. In copertina, una donna con una criniera bionda riccia, grossi seni e una giacca di pelle nera che li conteneva a stento sedeva su una moto con la schiena inarcata e la bocca leggermente socchiusa.

«Questa merda è vecchia. È come collezionare antichità. Quanto vuoi?»

Era Gon.

«Ventimila won. Le antichità non sono economiche, lo sai, vero?»

Gon si frugò nelle tasche brontolando, poi tirò fuori monete e banconote. «Ehi, tu» disse, appoggiando un gomito sul bancone, il mento sulla mano.

«Sei un robot, ho sentito. Senza emozioni, giusto?» mi chiese.

«Non del tutto.»

Lui tirò su con il naso. «Ho fatto delle ricerche su di te. In particolare, sul tuo cervellino pazzo.» Si diede dei colpetti sul capo, e il rumore somigliava a quello di un’anguria matura. «Per forza, lo sapevo che c’era qualcosa di strano in te. Stavo perdendo la testa per niente.»

«Tuo padre mi ha detto di chiamarlo se ti avvicini a me.»

Gli occhi di Gon scintillarono all’istante.

«Non serve.»

«Dovrei chiamarlo, gliel’ho promesso.»

Presi il telefono, ma Gon me lo strappò di mano e lo scagliò a terra.

«Ehi, ma sei sordo? Ti ho detto di non chiamarlo! Non voglio farti del male, okay?» Poi fece il giro della libreria, fingendo di guardare i libri.

«Hai sofferto quando ti ho picchiato?» mi chiese a voce alta, da lontano.

«È ovvio.»

«Allora anche i robot… soffrono.»

«Be’…» Cercai di dire qualcosa, ma rinunciai. Era sempre difficile spiegare la mia malattia, soprattutto adesso che la mamma non c’era più. Era lei che mi aiutava a trovare le parole giuste.

«Per esempio, sento il freddo, il caldo, la fame e il dolore. Altrimenti non sarei vivo.»

«È tutto quello che riesci a sentire?»

«Anche il solletico.»

«Perciò se ti faccio il solletico ti metti a ridere?»

«Forse, ma non è sicuro. Sono anni che nessuno mi fa più il solletico.»

Gon mandò un verso come di pallone sgonfiato. Poi si mise davanti al bancone.

«Ti posso fare una domanda?»

Io mi strinsi nelle spalle.

«È proprio vero che… tua nonna è morta?» mi chiese, evitando il mio sguardo.

«Sì.»

«E che tua madre è un vegetale?»

«Tecnicamente sì, se la vuoi mettere così.»

«E che è successo tutto sotto i tuoi occhi? È stata pugnalata da uno squilibrato?»

«Sì.»

«E tu sei semplicemente rimasto lì a guardare?»

«A ripensarci, in effetti sì.»

Gon alzò la testa di scatto e mi lanciò un’occhiataccia. «Che razza di idiota! Come cazzo hai fatto a rimanere lì a guardare mentre tua madre e tua nonna venivano uccise davanti a te? Avresti dovuto spaccargli il culo.



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