Arte come esperienza by John Dewey

Arte come esperienza by John Dewey

autore:John Dewey [Dewey, John]
La lingua: eng
Format: epub
editore: Aesthetica
pubblicato: 2020-04-03T12:15:27+00:00


9 – La sostanza comune delle arti

Quale contenuto è appropriato all’arte? Ci sono materiali intrinsecamente adatti e altri non adatti? Oppure nessun materiale è volgare e impuro dal punto di vista dell’elaborazione artistica? All’ultima domanda la risposta da parte delle stesse arti è stata fermamente e ripetutamente orientata in senso affermativo. Tuttavia c’è una tradizione duratura che ribadisce che l’arte dovrebbe effettuare distinzioni improprie. Una breve ricognizione sul tema può quindi servire a introdurre l’argomento specifico di questo capitolo, cioè gli aspetti della materia propria dell’arte comuni a tutte le arti.

In un altro contesto ho avuto occasione di accennare alla differenza tra le arti popolari di un periodo e le arti ufficiali. Anche quando le arti privilegiate si sono affrancate dal mecenatismo e dal controllo del clero e dei governanti, è rimasta la distinzione tra generi sebbene il termine “ufficiale” non sia più una designazione adeguata. La teoria filosofica si è interessata solo di quelle arti che ottenevano il marchio e il sigillo di riconoscimento dalla classe che aveva reputazione sociale e autorità. Le arti popolari sono sicuramente fiorite, ma senza riscuotere affatto attenzione dalla cultura colta. Esse non erano degne di esser menzionate nelle discussioni teoriche. Probabilmente non erano nemmeno considerate come arti.

Tuttavia, invece di occuparmi della prima formulazione di una distinzione impropria tra le arti, ne sceglierò una moderna che sia rappresentativa, e indicherò poi brevemente alcuni aspetti della rivolta che ha abbattuto le barriere un tempo innalzate. Secondo la tesi che ci propone Sir Joshua Reynolds, essendo i soli soggetti adatti a essere trattati dalla pittura quelli che hanno «un interesse generale», essi dovrebbero essere «un qualche esempio eminente di azione eroica o di eroica sofferenza», come «i grandi eventi della storia e dei miti greci e romani […]. Tali sono anche i soggetti più importanti della storia biblica». A suo parere tutti i grandi dipinti del passato appartengono a questa «scuola storica», ed egli prosegue dicendo che «su questo principio la scuola romana, fiorentina e bolognese hanno plasmato il loro metodo e grazie ad esso hanno meritatamente ottenuto il massimo plauso» – ove l’omissione della scuola veneta e della scuola fiamminga, accanto all’elogio della scuola eclettica, è commento sufficiente sul versante strettamente artistico139. Che cosa avrebbe detto se fosse riuscito a prevedere le ballerine di Degas, le carrozze ferroviarie di Daumier – addirittura di terza classe – o le mele, i tovaglioli e i piatti di Cézanne?

In letteratura la tradizione dominante sul piano teorico è stata simile. Si è ripetutamente sostenuto che Aristotele aveva delimitato una volta per tutte l’ambito della tragedia, il genere letterario più elevato, affermando che il suo materiale appropriato erano le disgrazie dei nobili e degli altolocati, mentre le disgrazie della gente comune erano intrinsecamente adatte per il genere più basso della commedia140. Diderot ha in pratica preannunciato una rivoluzione storica in ambito teorico quando ha detto che c’era bisogno di tragedie borghesi e di portare in scena, anziché solo re e principi, i privati cittadini che subiscono rovesci terribili che ispirano pietà e terrore.



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