Ascesa e declino by Emanuele Felice

Ascesa e declino by Emanuele Felice

autore:Emanuele, Felice [Felice, Emanuele]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Economia, Storica paperbacks
ISBN: 9788815350169
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2018-09-14T22:00:00+00:00


2.2. Preludio e tragedia

Di fronte alla crisi, l’Italia fascista si caratterizza quindi per una combinazione di politiche fiscali moderatamente espansive e di politiche monetarie ortodosse, o restrittive. Il risultato è deludente. Secondo le nuove stime, dal 1932 al 1938 il Pil per abitante crebbe in totale dell’8,6% (per un incremento annuo di appena l’1,4%)[101]. Si tratta di un dato peggiore di quello di tutti gli altri paesi avanzati, indipendentemente dalle politiche adottate: nello stesso periodo il reddito per abitante della Germania hitleriana, che tipicamente scelse politiche monetarie e fiscali entrambe espansive, aumentò di ben il 49%; gli Stati Uniti, che pure ebbero una politica monetaria restrittiva e una fiscale non più espansiva di quella italiana, crebbero del 25% (cioè quasi il triplo dell’Italia); con politiche speculari a quella italiana, espansive in ambito monetario e ortodosse in campo fiscale, il Regno Unito raggiunse una crescita del 22%, il Giappone del 25%; la Francia, che pure scelse l’ortodossia sia in campo monetario sia in campo fiscale, se la cavò con un 13%, comunque migliore del risultato italiano; ma è da menzionare anche il successo dell’Unione Sovietica, che ebbe politiche espansive e il cui reddito per abitante dal 1932 al 1938 aumentò del 49%, eguagliando quindi la Germania nazista (ma in questo caso il successo è ancora maggiore se confrontato sull’intero decennio 1929-1938, dato che l’Urss non fu colpita dalla crisi)[102].

Sono questi gli avversari e gli alleati con cui l’Italia combatterà la Seconda guerra mondiale. Il nostro paese è il più debole e – ben al di là della propaganda del regime – negli anni trenta il divario è andato allargandosi anziché diminuire; non solo nel Pil, ma anche nelle principali produzioni che determinano la capacità bellica di uno stato in epoca contemporanea: acciaio, chimica, energia[103]. L’industrializzazione arranca: gli addetti all’agricoltura, diminuiti rapidamente durante gli anni venti (dal 59 al 51%), rimangono quasi stazionari nel decennio successivo (erano il 48% nel 1940); ma quel che è peggio, alla data in cui l’Italia entra in guerra gli occupati nell’industria sono ancora nella stessa percentuale del 1929 (il 29%), anche se adesso lavorano di più[104]. I maggiori danni, le politiche fasciste li avevano fatti nel Mezzogiorno[105]. Per il timore di intaccare l’equilibrio di potere su cui il regime poggiava (cioè il sostegno dei grandi proprietari), gli assetti di conduzione della terra, fondati su bracciantato e grande proprietà estensiva, non erano stati modificati. Le politiche agrarie risultano controproducenti, e i pochi benefici che arrivano dalle bonifiche non bastano di certo a compensare le distorsioni provocate dalla battaglia del grano e dagli incentivi alla natalità; per di più le infrastrutture, come abbiamo visto, in questo periodo vengono realizzate soprattutto nel Centro-Nord[106].

La Guerra d’Etiopia sancisce e suggella questi errori strategici, marcando un punto di non ritorno, sia nella politica interna, sia in quella internazionale: «avventura» che causa agli etiopici oltre 700 mila morti[107], e che annovera l’uso massiccio di armi chimiche da parte dell’aviazione italiana[108], è anche la prima rottura dell’ordine postbellico da parte di una potenza europea[109], che in quanto tale fa da precedente e insegnamento alle espansioni hitleriane.



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