Atlantis by Ulrich Mohr

autore:Ulrich Mohr
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
editore: B2B
pubblicato: 2014-03-31T22:00:00+00:00

CAPITOLO XIV

»TOP SECRET«

Il fumo dell’Automedon apparve esattamente sulla nostra rotta, risparmiandoci perfino la fatica di cambiare direzione. In poche ore arrivammo così vicini al disgraziato piroscafo che, se avessimo aspettato ancora un po’, avremmo dovuto fare una deviazione per evitare una collisione.

«Se adesso si attaccano alla radio», pensai, «vuol dire che sono dei suicidi.»

Eppure, ad alcuni secondi dalla nostra cannonata di avvertimento, la loro radio cominciò a trasmettere. Era un gesto di coraggio, senza dubbio; ma era anche un suicidio.

«Feuererlaubnis!» E i proiettili caddero sul vecchio piroscafo dal lungo fumaiolo di foggia veneranda.

***

Avevo già visto diverse navi fare una brutta fine, ma l’Automedon fece la peggiore di tutte. La mia prima impressione, allorché saltai sulla coperta, fu di stupore e perfino di incredulità di fronte alla rovina seminata dai nostri cannoni. L’Automedon rollava maledettamente, e con la nave rollavano mucchi di gomene e cime sfilacciate; schegge di acciaio e di legno rotolavano intorno ai miei piedi e il sibilo del vapore che usciva dalle condutture infrante rompeva il silenzio sinistro che regnava dappertutto. Il fumaiolo era ridotto a un colabrodo, i posti di vedetta erano crivellati dalle schegge dei proiettili, il legno della cabina radio sembrava un cumulo di segatura in cui il fuoco covasse molto lentamente.

Uno dei miei uomini emise un fischio sommesso tra i denti. Fu l’unica manifestazione del nostro stupore, perché nessuno di noi disse una parola. Una parte della coperta era crollata, e di fronte al ponte di comando si scorgeva una breccia larga quanto un portone, con gli orli frastagliati come i lembi di una scatola di carne aperta con la baionetta. Sacchetti di sabbia, scaraventati lontano dai cannoni dalla violenza degli scoppi, giacevano tutt’intorno, squarciati e sbrindellati, versando il loro contenuto su una massa caotica in cui si distinguevano a stento salvagente sventrati, antenne spezzate, tavole sconquassate, gavitelli sbriciolati.

Ma il momento peggiore venne quando riuscii a salire sul ponte di comando passando tra lamiere contorte, cavi elettrici attorcigliati e mucchi di fasciame spazzati via come paglia dalle nostre granate. Entrando nella sala delle carte vidi i cadaveri. Dei sei ufficiali dell’Automedon, non uno era stato risparmiato: un colpo aveva raggiunto in pieno il centro del ponte di comando.

Di lì a poco scoprimmo qualcosa che ci lasciò perplessi: alla vecchia nave erano stati affidati quindici sacchi di corrispondenza segreta, tra cui cinquanta chili di incartamenti che comprendevano tabelle di tiro, ordini dell’ammiragliato, tavole per la decifrazione dei dispacci e sedicenti rapporti del servizio segreto della marina britannica. Che cosa diavolo poteva avere indotto gli inglesi a caricare materiale così prezioso su una vecchia bagnarola come l’Automedon? Non potevano servirsi di una nave da guerra? Era una domanda alla quale non riuscivamo a dare risposta.

Le sorprese non erano finite. Dopo aver lavorato d’ascia per un’ora intorno alla serratura della cassaforte e dopo avere constatato che essa conteneva soltanto una cassetta con una manciata di scellini, scoprimmo altrove il bottino più prezioso. Si trovava nella sala delle carte, a pochi metri dal punto in cui gli ufficiali erano caduti; e solo allora mi resi conto della tragica ironia di quella situazione.

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