Bucce di banana by Daniele Manca

Bucce di banana by Daniele Manca

autore:Daniele Manca [Manca, Daniele]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Solferino
pubblicato: 2023-01-15T00:00:00+00:00


14

Somalia

sabato 21 settembre 1963, ore 5 Somalia

L’uomo camminava a passo lento per le vie della città, godendo il fresco dell’autunno italiano. Un sole tiepido e luminoso rischiarava le strade ingentilendo i colori. Era bello muoversi in mezzo alla folla anonima, guardare le belle ragazze vivaci vestite alla moda. Tutti sembravano allegri e felici. E perché no? pensò l’uomo. La guerra era finita e il Paese viveva un’era di prosperità e ricchezza. Bastava poco, in quella nuova Italia, per fare soldi. Chiunque fosse stato intraprendente avrebbe goduto di quella promessa di benessere.

Anche lui. Soprattutto lui.

Si passò una mano sul volto, sulla pelle bruciata dal sole. Rammentava soprattutto il sole, opprimente e feroce, ma anche la luce impietosa e la polvere. Era contento di essere tornato.

La folla rideva e si muoveva in un brusio indistinto che lo faceva sentire protetto.

«Assassino!»

Sentendo quell’urlo improvviso l’uomo si voltò impaurito, col cuore in gola.

Una donna, che indossava una gonnella grigia malconcia, un pullover sformato e scarpe da uomo lo guardava, puntandogli contro il dito.

«Assassino» ripeté.

La gente si fermava e lo guardava incuriosita.

«Sì, assassino» rincarò un’altra voce. Proveniva da un ragazzo che portava una camicia lacera e sporca di sangue e un paio di pantaloni tenuti in vita da una corda. Gli puntava il dito contro e ripeteva: «Assassino».

L’uomo si trovò accerchiato dalla folla che lo fissava. Fece una smorfia, allargando le braccia e scuotendo la testa.

Il brusio cresceva.

«Assassino.» Ancora. Più forte. Una donna, con due bambini per mano, vestiti con abiti antiquati, sporchi e sgualciti. La donna aveva le gambe insanguinate e gli puntava contro la mano nodosa e sporca, come un artiglio.

«Assassino!» questa volta era un urlo.

L’uomo si fermò. La folla lo circondava. Quello che prima era un muro caldo e confortante di anonimi volti divenne una barriera ostile. Lo guardavano con ferocia. Il brusio lasciava sempre più il posto a un grido distinguibile e corale:

«Assassino!» «Assassino!»

Una mano arpionò il suo braccio con una stretta forte e dolorosa. Un’altra mano gli afferrò i capelli. Si divincolò con forza. «Lasciatemi, lasciatemi, maledetti, lasciatemi» urlò, ma non riusciva a liberarsi.

Altre mani lo stringevano, lo tiravano, lo strattonavano. Tante mani, tantissime.

Il grido continuava: «Assassino! Assassino!».

La folla lo sovrastava, lo avvolgeva, gli toglieva l’aria. Si sentiva soffocare. E le mani lo straziavano…

Tentò di urlare, ma nessun suono usciva dalla sua gola…

L’uomo si alzò di scatto a sedere. Il cuore batteva in modo forsennato. Stentò a capire dove fosse. Poi vide la zanzariera che circondava il letto.

Era ancora lì. Non era partito.

Era un sogno. Solo un sogno. Provò sollievo, ma anche una profonda delusione.

Dalla finestrella senza vetri cominciava a filtrare una debole luce, ma il caldo era già opprimente. Tempo ideale solo per le banane e i negri, pensò l’uomo, scontento. Sul soffitto si muovevano pigramente le pale di un grosso ventilatore che mescolavano l’aria calda senza portare nessun refrigerio.

L’uomo indossava solo calzoncini di tela larghi e sbiaditi. Il sudore gli colava sulla fronte e sui peli bianchi del petto. Guardò il polso dove rilucevano le lancette fosforescenti di un orologio quadrato dalla foggia moderna.



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