cefbcf6efe4b1020bac717452fcd7d66 by Unknown

autore:Unknown
Format: epub
pubblicato: 2019-10-28T00:00:00+00:00

Una crisi in salsa francese

Nizza, 2000

Sedici anni dopo, il 23 giugno 2016, di nuovo a Londra, capimmo invece che il mondo non era più nostro, ma loro. Che la storia non cammina sempre in avanti: ogni tanto si ferma, o torna sui suoi passi. Per questo non si deve idolatrarla. L’ottimismo, la fede nel cosmopolitismo e nel globalismo, che ci accompagnavano dalla caduta del Muro, erano stati già scossi in più di un’occasione nel nuovo secolo. Ma quella volta ci crollò letteralmente il mondo addosso. Più di quarant’anni dopo esserci entrata con un referendum nel 1973, la Gran Bretagna aveva deciso con un referendum di uscire dall’Europa unita. Era iniziato un tempo nuovo, più cupo, pessimista, dominato dalla paura invece che dalla speranza, dalla voglia di chiudersi dietro una qualche frontiera: nel protezionismo, nell’isolazionismo, nel nazionalismo. Una rivolta contro il «racket tedesco», come è stata definita l’Europa. Quella stessa Germania cui avevamo dato festanti il bentornato nel 1989 in quanto simbolo di libertà, ora era percepita di nuovo minacciosa, l’eterno nemico. Eppure, ironia della storia, i nazionalisti antitedeschi hanno finito per ricorrere proprio al linguaggio e ai miti del romanticismo tedesco per definire la loro idea di nazione come corpo mistico, sangue e suolo, «Blut und Boden».

Per noi gente di sinistra, che venivamo dalla storia del Pci, fu un colpo particolarmente duro, per la semplice ragione che avevamo sostituito l’utopia europeista alle precedenti e pensavamo di aver trovato in quel progetto di unione del continente un nuovo ideale progressista e internazionalista. Col senno di poi si può oggi dire che avevamo scambiato ciò che al massimo era – e ancora può essere – un ordinato e teutonico meccanismo di cooperazione tra Stati sovrani, utilissimo e anzi necessario per reggere nella competizione globale con i colossi americano e cinese, nell’improbabile e ingenuo sogno di un nuovo cosmopolitismo senza più frontiere, da Stati Uniti d’Europa: l’idea che era nata nelle menti dei primi visionari europeisti ma non aveva mai vissuto nella realtà, nella vita della gente normale nelle singole nazioni, che continuava invece a sentirsi italiana o inglese o francese, e dall’Unione cercava vantaggi concreti, non una nuova fumosa identità e grandi architetture istituzionali. Avremmo potuto e dovuto difendere l’Europa come progetto pragmatico ed efficace, e invece la caricammo di significati palingenetici e avveniristici che non potevano certo reggersi sulle fragili spalle di quel manipolo di politici non eletti o riciclati che di solito compongono la Commissione di Bruxelles.

Un giorno andrà scritta la storia di come la sinistra italiana si sia aggrappata all’ideale europeista dopo la caduta del Muro, e l’abbia poi predicato con lo zelo che le è tipico. Perché il progetto era di ben diversa origine. Fin dall’inizio l’Europa è stata infatti la costruzione di tre cristiano-democratici: Konrad Adenauer, Robert Schuman, Alcide De Gasperi. Stretti in un mondo spaccato in due blocchi, da un lato il capitalismo americano, dall’altro il socialismo sovietico, immaginarono di dare un’ideologia di mezzo all’Europa che le consentisse di conquistarsi un’autonomia, un suo spazio nel mondo: l’economia sociale di mercato di origine germanica, la Marktwirtschaft.

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