C'era una volta il sesso by Stella Pulpo

C'era una volta il sesso by Stella Pulpo

autore:Stella Pulpo [Pulpo,Stella]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2023-06-06T00:00:00+00:00


Gelosia in che senso?

Oggi, quando chiedo a qualcuno se sia geloso, ricevo spesso risposte di questo tenore: “Ma va, che cosa antica la gelosia!”, oppure “La gelosia è un comportamento anti-economico”, ma anche “Naah, che fatica essere gelosi!”. La persona più giovane con cui ne ho parlato, che aveva 16 anni, mi ha detto: “Non potrei mai stare con una persona… gelosa!”, e nel pronunciare la parola “gelosa”, ha tradito l’incredulità tipica dei giovani quando scoprono qualcosa di rozzo e primitivo sui propri antenati: “essere gelosi” per lei era come “avere il bagno fuori casa sul ballatoio” per me.

Negli anni novanta, invece, la gelosia era un’emozione accettata, rivendicata e forse persino promossa come indice di passione e misura dell’intensità della relazione. Ammettere di essere persone gelose, scriverlo, cantarlo, non significava procurarsi una sorta di scomunica sociale. Non equivaleva a dichiarare: sono un essere umano inferiore. Non sollevava dubbi e interrogativi sui valori della relazione o sui livelli incresciosi della propria autostima. Il possesso, che è il sottinteso della gelosia, ai tempi era prerequisito dell’amore, sia in chiave attuale (sono tua, sei mio), sia in chiave nostalgica (eri mia, era mio), che in prospettiva (sarò per sempre tuo, sarà per sempre mia). Praticamente, quando si trattava di faccende sentimentali, eravamo tutti figli unici.

Del resto, nel 1994, una giovanissima Ambra Angiolini cantava una canzone che sarebbe diventata cult per la generazione più nostalgica di tutte, i millennial, i cui versi erano più o meno i seguenti: T’appartengo ed io ci tengo, e se prometto poi mantengo; m’appartieni e se ci tieni, tu prometti e poi mantieni, prometti, prometti, per sempre sarà.

L’appartenenza al partner, essere di qualcuno, era un concetto non solo riconosciuto e incoraggiato, ma costituiva l’essenza stessa dell’amore, del donarsi e del riceversi. Nessuno si preoccupava del fatto che l’appartenenza potesse sconfinare nel possesso, nella proprietà, nell’idea di disporre dell’altro, di ridurlo a oggetto, di controllarlo, di sacrificarlo.

Negli ultimi anni, finalmente, abbiamo iniziato a discutere il valore del possesso come fondamento della relazione amorosa e a porlo in relazione diretta con una serie di comportamenti tossici che si sviluppano tra le mura domestiche, e non solo (quando collegheremo il possesso alla disparità economica, poi, avremo messo a fuoco il vero problema). Ciononostante, siamo ben lontani dal poter considerare la gelosia superata o debellata. Essa continua a essere una delle leve disfunzionali delle nostre relazioni, della loro narrazione e della loro rappresentazione. Pertanto, per chiudere questa analisi su monogamia, tradimento, romanticismo ed eventuali alternative, parleremo di lei, la gelosia, e lo faremo come usava fare quando ero giovane io: dal punto di vista del geloso, dall’interno. Cosa c’è dentro la gelosia? Di che materia è fatta? A quali bisogni o paure risponde?

Paura di perdersi

Se tornate con la mente alla prima volta in cui avete fatto esperienza della gelosia, vi accorgete che non l’avete provata per un “fidanzato” o una “fidanzata”, ma per un amichetto, un’amichetta, un nonno, se non direttamente per i vostri genitori, ossia le figure di accudimento primarie. Questo serve a darvi l’idea di quanto in profondità si collochino, in noi, le radici della gelosia.



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