Come le erbe dei campi by Ilaria Corona

autore:Ilaria Corona
La lingua: ita
Format: mobi
pubblicato: 2016-04-01T05:00:00+00:00

CAPITOLO 6

L'AMORE

Iris prese le due tazze vuote, le posò sul vassoio e portò il tutto sul comò, facendo scivolare sul fondo, il portafoto. Poi tolse gli stivali e si infilò nel letto acciambellandosi come un micio accanto a Pietra.

Lei prese ad accarezzarle i capelli, lisciandoli con le dita e intrecciandoli.

“Ti sarebbe piaciuto Clemente. Era bello eh? Due occhi dalle ciglia nerissime, folte, dai quali si affacciavano due pezzi di mare, due smeraldi. Era alto, snello.

Me ne innamorai quasi subito. Credo fosse inevitabile d’altronde. Come avrei potuto non amare l’unico uomo che mi trattava con rispetto, che si prendeva cura di me, che non mi insultava, picchiava, umiliava? Lo amavo in silenzio e con mille sensi di colpa, perché sentivo di non esserne degna. Il sentimento che provavo era del tutto fuori luogo, perché ero solo una serva, perché non ero adulta, perché ero menomata, perché ero brutta, perché mio padre mi avrebbe ucciso, perché ero talmente sfortunata che il cielo mi sarebbe caduto addosso e mi avrebbe sotterrato pur di farmi tacere su ciò che provavo. Eppure a me bastava così, mi bastava quell’amore silenzioso fatto di presenza. Mi bastava sentire bruciare il petto quando mi parlava, quando mi sorrideva. Mi bastava vedere per la prima volta i colori del mondo, oltre la monotona coltre nera, che tutto avvolgeva.

Un pomeriggio di primavera quell’amore parlò, anzi a dirla tutta urlò proprio. Ricordo che pioveva, una pioggerellina sottile sottile, piacevole. Il verde della campagna intorno brillava sotto le minuscole gocce e l’unico suono udibile, era un delicato fruscio che cullava gli animi. Pensai che quella fosse la felicità, ma sbagliai perché ne era solo il bagliore. La felicità stava per raggiungermi, stava per investirmi in pieno lasciandomi inebetita e senza coscienza. Quel pomeriggio mi baciò, Clemente mi baciò e io scoprii che gli amori taciuti, sono anche quelli più travolgenti e forti. Era nato tutto spontaneamente, come le erbe dei campi che spuntano in modo casuale ma contribuiscono ad un preciso, perfetto e mirabile disegno di madre natura.

Inizialmente nessuno parlava, forse neppure eravamo capaci di esternare ciò che provavamo. Ci lasciavamo trasportare dall’istinto passionale, in preda al magnetismo dei nostri sensi. Senza accordarci sapevamo di doverci nascondere, di dover celare al resto del mondo questo prezioso e raro dono che la vita ci aveva concesso. Mi fidavo ciecamente, era il mio scudo, nulla poteva più nuocermi. Era la mia dannazione, non potevo resistergli.

Fu lui a prendere per primo il discorso mesi dopo, fuori i grilli cantavano ed io, tentavo di contarli seduta sotto la luna in cerca di un po’ di refrigerio, in una notte che pagava il prezzo dei trentacinque gradi diurni.

“Pietrina…”

Così mi chiamava lui: Pietrina. Si mise a sedere accanto a me, a piedi nudi, ma le pietre del cortile rilasciavano ancora calore.

Dal paese arrivavano nitide le canzoni dei balli, provenienti dal dopolavoro. Una volta a settimana bisognava divertirsi. Serviva agli animi, per non essere troppo tristi e insoddisfatti. Un animo lieto, soddisfatto, avrebbe creato pochi problemi e avrebbe dato più energia al corpo, per lavorare meglio.

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