Come vento d'inverno by Rhoma G

autore:Rhoma G. [G., Rhoma]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Hewlett-Packard
pubblicato: 2016-12-26T23:00:00+00:00

Fiori dalla pioggia

Goccia a goccia, mia adorata pioggia,

lava via questo mio male di vivere.

Sharon, Ingozis wiiji gimiwan.

«Ti va di fare una passeggiata?» Avevo voglia di mettermi a letto e piangere. Oppure fuggire dalla stazione dei Ranger, da Gimli, dal Canada. Darmi alla macchia nello Yucon era una soluzione possibile.

Scappare era ciò che mi riusciva meglio.

Quando le cose non andavano per il verso giusto, io me la battevo. Alla comune di Rashid; presso il monastero in Tibet; a Gimli. Ovunque purché non provassi la soffocante pressione dell’angoscia. Era svilente quella sensazione claustrofobica d’impotenza. Mi opprimeva, tanto quanto il pensiero di una eventuale seconda possibilità, mi schiacciava.

Avevo paura che Danny diventasse importante.

Che fosse lui quella possibilità.

Non ero pronta; non ero abbastanza forte.

La porta era ancora aperta.

Svignarsela sarebbe stata l’unica azione sensata, purtroppo però il cosmo, l’Altissimo, il mio inconscio, il karma, avevano altri progetti per me, così restai incollata col palmo al petto di Danny, Orso dal pelo lucente, mentre il cuore gli percuoteva la cassa toracica. Reputai che quel ragazzo fosse troppo grande e grosso per un batticuore simile.

«Dove vuoi portarmi?» Armata di buona volontà, e tecnica sopraffina di respirazione zen, cercai di calmarmi.

«In un posto speciale» annunciò, e mandai giù il groppo in gola più grande di sempre.

«Puoi allontanarti?» Guardai oltre la sua spalla, la scrivania ingombra di cartelline. «Non hai da lavorare?»

«Quello ti sembra lavoro?» Si volse un istante. «É solo pacciame» disse. Considerato il rosso e il giallo dei faldoni, immaginai davvero che la scrivania fosse coperta da un mucchio di foglie secche. «I calzini sono asciutti?» Diresse lo sguardo sui miei piedi, affondati nell’orrido tessuto a fiori del divano, gli poggiai una mano sulla spalla, con l’altra controllai il grado di umidità delle calze. Avevo chinato il capo lasciando scoperto il collo, quando lo rialzai i suoi occhi erano fissi a metà strada con la clavicola. Ebbi l’impressione che volesse mordermi, proprio lì.

«Sono asciutte.» Alle volte mi guardava come se fossi una bistecca al sangue, e volesse ingoiarmi in un solo boccone.

«Metti gli stivali, vado a inventare una scusa a Rosita»

«Danny?» Si voltò, le mani sui fianchi, la camicia spiegazzata all’altezza delle spalle. «Le ho detto che sono l’avvocato di Ary, e che dovevamo sistemare alcune questioni del divorzio» ghignò un sorriso compiaciuto.

«Brava ragazza, torno subito.» Impiegò un quarto d’ora per trovare un pretesto, tornò stringendo in mano una specie di giacchina in panno. «Mettila, la misura più grande sarà compensata dal maglione extra large»

«Di chi è?»

«Non lo so, l’ho presa in prestito da uno degli attaccapanni della sala d’attesa»

«In pratica l’hai rubata?» Domandai esterrefatta.

«La sala è vuota, forse l’hanno dimenticata. Ti muovi? Ho solo un’ora di permesso.» Si era fatto impaziente, sicché era meglio assecondarlo. Guai a far spazientire il tenente King, diventava odiosamente irascibile quando accadeva.

Uscimmo alla chetichella dalla porta antipanico, stretti in un abbraccio che aveva poco di amichevole. Se Rosita ci avesse visti, non si sarebbe più bevuta la storia dell’avvocato, e delle comunicazioni urgenti.

Aveva smesso di piovere e il cielo era quasi blu.

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