Con parole tue by Marco Ballare
autore:Marco Ballare [Ballare, Marco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Edizioni Gribaudo
pubblicato: 2023-01-15T00:00:00+00:00
1G. Galilei, Trattato di fortificazione (1594 ca.), in Opere di Galileo Galilei, a cura di Franz Brunetti, UTET, Torino 1980.
A volte negli uffici, o più in generale sul posto lavoro, si verifica un fenomeno curioso: lâimpiegato studia una soluzione valida a un problema e decide di presentarla al capo, il quale però, misteriosamente, la rifiuta, assegnando inoltre allâimpiegato una serie di compiti che sembrano aggravare la situazione anziché risolverla. Alle timide ma ferme obiezioni dellâimpiegato, il capo risponde laconicamente: «Sono il suo superiore e decido io». à questo il momento in cui per lâimpiegato arriva la doccia fredda e con essa lâamara consapevolezza: avere ragione, in un contesto gerarchico, spesso non serve a nulla. Ecco quindi che il nostro lavoratore, a testa bassa, esegue gli ordini controvoglia, maledicendo a denti stretti la sorte, il capo, e financo tutto il calendario dei santi.
Esiste una locuzione latina piuttosto usata anche in italiano per definire lâesecuzione forzata di un compito: obtorto collo. Questa espressione è letteralmente traducibile con «con il collo ritorto»: il verbo obtorquÄre è un composto di torquÄre, cioè «girare», «torcere», e il sostantivo collum è lâantenato di Roma antica del nostro collo. In latino lâespressione obtorto collo è ampiamente documentata1, ma veniva usata perlopiù in senso letterale: indicava lâatto di trascinare qualcuno prendendolo per il collo, di modo che se il malcapitato avesse fatto resistenza, sarebbe soffocato. In italiano ha invece assunto il senso metaforico di fare una cosa controvoglia, malvolentieri. Dâaltronde, a nessuno piace essere preso per il collo, nemmeno in senso figurato. In ogni caso, dover fare qualcosa di cui non si è affatto convinti è un vero e proprio leitmotiv sul posto di lavoro, come lo è anche il senso di malcelata frustrazione misto a impotenza che si prova davanti a una decisione presa direttamente dai capi, autorizzati più o meno legittimamente ad avere lâultima parola. In questi casi, ahimè, è inutile discutere: quando i capi decidono, i sottoposti prendono atto. Ebbene, anche qui la lingua di Cicerone viene in nostro aiuto con unâespressione tanto semplice quanto efficace: ubi maior minor cessat. Queste parole, alla traduzione letterale, suonano come «dove câè il maggiore, il minore cessa», anche se sarebbe più corretto parafrasare con «dove è presente una maggiore autorità , la minore perde di rilevanza». Questa locuzione è molto diffusa in italiano, sia per il suono facilmente comprensibile anche a chi non ha mai studiato latino, sia per la sua brevità . Lâautorità del capoufficio non può essere quindi messa in discussione se non dal suo diretto superiore, che si tratti dellâamministratore delegato, del proprietario dellâazienda o del megadirettore galattico di fantozziana memoria. Queste figure, nelle gerarchie aziendali, hanno sempre lâultima parola e sono paragonabili a delle divinità : in altre parole, non câè capoufficio o manager che tenga se davanti câè la parola del CEO.
Questa situazione riporta alla memoria la Divina Commedia, più precisamente il III canto dellâInferno, nel momento in cui Caronte, traghettatore infernale, riconosce in Dante unâanima vivente e gli intima di andarsene da quel luogo riservato ai dannati.
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