Credere e non credere by Nicola Chiaromonte

Credere e non credere by Nicola Chiaromonte

autore:Nicola Chiaromonte [Chiaromonte, Nicola]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2023-03-07T12:00:00+00:00


3. IL GIUDIZIO DI DIO

Jacques Thibault ci è descritto da Roger Martin du Gard come un individuo che non riesce a trovar pace, mai persuaso della parte che recita nella vita. Eppure è un uomo integro, che fin dalla prima giovinezza ha obbedito al suo demone, rifiutando ciò in cui non credeva: la famiglia, la carriera intellettuale che gli si apriva dinanzi a venti anni, l’eredità paterna, e infine un’esistenza normale. Ma è appunto per questo che non può più trovar pace, perseguitato com’è dal sentimento che la vita che conduce, e che egli ha scelto, è una maniera di sfuggire a se stesso, di rimanere separato da una verità la quale peraltro gli rimane oscura.

Di fatto, Jacques è un ribelle fin dall’adolescenza, e non può essere altro. «Semel haereticus, semper haereticus.» La rivolta autentica condanna l’individuo non solo alla solitudine, ma anche all’impersuasione e all’irrequietezza: è una situazione senza pace. Solo la partecipazione al movimento socialista placa in qualche modo l’inquietudine di Jacques. Nel gruppo di Ginevra, egli – che non è iscritto al partito – fa figura d’intellettuale: è amato e rispettato, ma fra lui e i compagni rimane sempre una certa distanza. Quanto a lui, questa distanza egli la considera dovuta a una qualche sua incapacità. Nei compagni, essa è causata dalla sua irrequietezza intellettuale: Jacques dubita troppo, insiste troppo a chiedersi se il socialismo possa veramente vincere i legami nazionali, se la violenza rivoluzionaria non sia un mito nefasto alla causa della giustizia, se la palingenesi socialista possa veramente mutare la natura delle cose. Sicché, come gli dice a un certo momento un compagno, Jacques non è un «credente».

Ma, d’altra parte, un socialista del 1914 non potrebbe sostenere altro che in via metaforica che, per essere socialista, bisogna “aver la fede”. Il socialismo è una convinzione razionale. Parlare di “fede” significa invocare l’irrazionale, rinnegare lo spirito critico; e, alla fine, fare appello all’aborrito principio d’autorità. E poi, se si volesse parlare di fede, l’intellettuale Jacques la fede l’ha, ed è materiata d’altro che di ragionamenti dubitosi:

Poteva opporsi ad alcuni di loro sul terreno ideologico, soffrire di certe incomprensioni…: li amava tutti, perché tutti erano dei puri. Ed era fiero di essere amato da loro: giacché essi l’amavano, malgrado le sue differenze, sentendo bene che anche lui era un puro. Un’emozione improvvisa gli velò lo sguardo. Egli cessò di vederli, di distinguerli gli uni dagli altri e, per un momento, quella riunione di fuorilegge venuti dai quattro angoli d’Europa non fu più ai suoi occhi che l’immagine dell’umanità malmenata che aveva preso coscienza del suo asservimento e infine insorgeva, radunando tutte le sue forze per ricostruire un mondo.

È l’emozione del sentirsi affratellati da una speranza comune, il più forte legame del movimento socialista, infranto il quale nessun accordo ideologico, nessuna disciplina possono ricostituire una vera unità d’intenti.

In realtà, nel socialismo di prima del 1914, quello cui appartiene Jacques Thibault, il problema di un limite a ciò che è permesso pensare – la questione dell’ortodossia – non esisteva neppure.



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