Crossed by Ally Condie

autore:Ally Condie [Condie, Ally]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00

sostenuto con tanta convinzione l’idea che il Pilota non

esiste.

«Lo spero», dice Vick. Ora che il racconto è finito, la

sua voce si fa cupa.

Gli passo il pezzo di pioppo su cui è intagliato il nome

della sua amata.

Lo guarda per un istante e poi se lo mette in tasca.

«Allora», dice. «Vediamo di concentrarci sulla nostra

traversata e sulla ricerca di chi ci è rimasto. Ho

intenzione di starti dietro ancora per un po’».

«Devi smetterla di dire queste cose», esclamo. «Non

sono una guida. Siamo una squadra». Osservo il cielo e

la sua miriade di stelle. Non ho idea di come facciano

ad ardere e brillare.

Mio padre desiderava essere quello che cambia tutto

e salva tutti. Un ruolo pericoloso. Eppure tutti gli

credevano. Gli abitanti del villaggio. Mia madre. Io.

Ma crescendo ho capito che non aveva alcuna

possibilità di vincere. Smisi di credere. Se non sono

morto con lui, è perché avevo smesso di partecipare ai

suoi raduni.

«D’accordo», dice Vick. «La smetto. Ma ti ringrazio

per averci portato fin qui».

«Grazie a te», dico.

Vick risponde con un cenno d’assenso. Prima di

addormentarsi, tira fuori il suo pezzo d’agata e incide

un’altra tacca nella suola dello scarpone. Un altro

giorno senza di lei.

Diciotto

Cassia

«Non hai una bella cera», dice Indie. «Vuoi che

rallentiamo un po’?».

«No», rispondo. «Non possiamo». Se mi fermo, non

riparto più.

«Non aiuterai nessuno morendo lungo il cammino»,

dice arrabbiata.

Mi metto a ridere. «Non morirò». Sono esausta,

affamata, assetata e dolorante, ma l’idea che muoia è

assurda. Non posso morire proprio adesso che ogni

passo potrebbe portarmi più vicino a Ky. E poi ho le

pillole blu. Sorrido immaginando ciò che può essere

scritto sugli altri foglietti.

Cerco senza sosta un altro segno del passaggio di Ky.

Non sono moribonda, ma forse sto peggio di come

credevo, perché vedo segni ovunque. Mi sembra di

scorgere un messaggio di Ky nel reticolo di crepe sul

fondo del canyon, dove il fango inumidito dalla pioggia

si è risolidificato in forme che a mio avviso potrebbero

essere interpretate come lettere. Mi accovaccio per

studiarle. «Cosa ti sembra?», chiedo a Indie.

«Fango», risponde.

«No», insisto. «Guarda meglio».

«Pelle, o squame», dice e per un attimo resto senza

parole, totalmente suggestionata da quell’idea. Pelle, o

squame. Forse, in realtà, stiamo camminando sul

dorso di un lungo, sinuoso serpente e, giunte in fondo,

potremo saltar giù dalla sua coda. Oppure

raggiungeremo le sue fauci e verremo divorate in un

sol boccone.

Quando il cielo azzurro si fa rosa-celeste, e l’aria

comincia a rinfrescare, trovo finalmente un segno

inequivocabile.

È il mio nome: Cassia, inciso sul tronco di un giovane

pioppo che cresce su uno spiazzo di terra, accanto a un

ruscelletto.

L’albero non vivrà a lungo: per riuscire ad assorbire

l’acqua, le sue radici crescono troppo in superficie. Ky

ha inciso il mio nome con tale cura da farlo sembrare

parte della corteccia.

« Questo lo vedi?», chiedo a Indie.

Dopo un istante, mi risponde: «Sì».

Lo sapevo.

Vicino al ruscello, noto un piccolo insediamento, un

piccolo, ombroso frutteto, i cui alberi hanno tronchi

contorti, e frutti dorati che pendono dai rami più bassi.

Mi viene voglia di cogliere quelle mele, per portarle a

Ky come prova del fatto che l’ho seguito passo dopo

passo. Devo trovare qualcos’altro da dargli oltre alla

poesia, perché non riuscirò mai a finirla, a trovare le

parole giuste.

Poi torno a osservare il terreno attorno al pioppo e mi

accorgo che ci sono delle orme che si addentrano

ulteriormente nel canyon.

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