Cuore di cobra by Riccardo Riccò Dario Ricci & Dario Ricci

Cuore di cobra by Riccardo Riccò Dario Ricci & Dario Ricci

autore:Riccardo Riccò, Dario Ricci & Dario Ricci [Riccò, Riccardo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EDIZIONI PIEMME
pubblicato: 2020-04-29T22:00:00+00:00


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Rivalità e rispetto. Questi erano i sentimenti che mi legavano a Michele Scarponi. Amici no. Perché lì dentro, nel gruppo, amico non puoi esserlo con nessuno. Con Michele, però, c’era stima reciproca. Eravamo del resto corridori simili: quando la strada cominciava a salire e in tanti cominciavano a sbuffare, per noi iniziava invece il divertimento. Io forse ero più graffiante negli sprint di gruppo, e anche in quelli ristretti, dove comunque Michele restava sempre un brutto cliente, e magari più stambecco di me sulle ascese con pendenze superiori al 10%, che a me un po’ di fastidio comunque lo davano. A cronometro? Per entrambi, meglio lasciar perdere…

Michele era rimasto coinvolto nell’Operación Puerto, che aveva nel mirino Fuentes, avendo corso nel 2005 e 2006 nella Liberty Seguros di Manolo Saiz, il direttore sportivo e manager legato a doppio filo col medico iberico (ma poi assolto dall’inchiesta spagnola). Di lì a poco, nel luglio 2007, Scarponi – che nel frattempo era passato all’Acqua&Sapone-Caffè Mokambo – sarà squalificato per 18 mesi.

Intanto, continuavo a prepararmi con Carlo, che pure seguiva anche altri corridori del gruppo. Ma Santuccione era un professionista: non condivideva con nessuno di noi le informazioni sugli altri. Piuttosto, ogni tanto gli piaceva stuzzicarci, pungolarci nell’orgoglio per tirare fuori il massimo da ognuno di noi. «A te ne basta una goccia, a Danilo gliene serve una damigiana!»: si riferiva all’EPO, quando scherzosamente mi paragonava a Di Luca che, abruzzese come lui, davvero era il suo pupillo.

Ci fu un’altra occasione in cui ebbi modo, seppur indirettamente, di stupire Di Luca. Era una mattinata di freddo, pioggia e gelo. Ero andato qualche giorno da Carlo per gli abituali allenamenti, ma quella mattina di andare in bici a ghiacciarmi non ne avevo voglia. «Vieni qui da me, che te lo trovo io il da fare!» mi disse Carlo, col tono che userebbe un padre per dare una lezioncina al figlio che non vuole fare i compiti di scuola. Mise la bici sul rullo e capii subito che avrei fatto meglio a uscire in allenamento, malgrado il gelo e il diluvio. «Adesso facciamo il test di Conconi: comincia a pedalare e ti dico io cosa fare» sogghignò tra il serafico e il soddisfatto. Di quel che avrei dovuto fare ero in realtà già consapevole. Il cosiddetto “test di Conconi” serve per determinare la capacità di resistenza, utilizzando il parametro della frequenza cardiaca. Dopo una ventina di minuti di riscaldamento, bisogna pedalare a un’intensità da gara a 90-100 ripetute per minuto, aumentando a ogni minuto la velocità di un km/h. Si va avanti fino a quando non si riesce più a mantenere la velocità costante per l’intero minuto.

«55 km/h.»

Il mio cardiofrequenzimetro aveva stampata questa cifra sul display. Ero sfatto, sudato, con la vista annebbiata, e mi chiedevo se non sarebbe stato meglio farsi quel culo alla prossima cronometro importante, piuttosto che tra le quattro pareti di quello studio medico sperduto nella provincia abruzzese. Domande cui rispondeva il sorriso largo, quasi commosso di Carlo. Di Luca, quando Carlo gli mostrò nei giorni seguenti quel risultato, disse semplicemente: «Non posso crederci!».



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