Curatori d'assalto. L’irrefrenabile impulso alla curatela nel mondo dell’arte e in tutto il resto (Johan & Levi) by David Balzer
autore:David Balzer [Balzer, David]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 978-88-6010-198-3
editore: Johan & Levi
pubblicato: 2017-06-29T09:31:24+00:00
Mettiti comodo, ascolta qua / che bel viaggio oggi si fa / su quell’isola alle Antille / grandi artisti fan faville / il curatore dotto e burlone / tutto sorrisi quel suo amicone / senza arte la Biennale / ma che idea niente male!
Hoffmann, il “supercuratore che si diverte a parodiare i suoi colleghi”, nel primo decennio del duemila si cimentò in un duplice lavoro di caricatura ed esaltazione del mondo dell’arte, facendosi conoscere per le sue mostre che fanno il verso a quelle di grandi istituzioni. La sua “When Attitudes…”, allestita al Wattis Institute del California College of the Arts di San Francisco (di cui era allora direttore e docente di punta del prestigioso corso di studi curatoriali), selezionò artisti contemporanei giovani che lavoravano sulla scia dei pionieri schierati da Szeemann. Nel 2014 portò al Jewish Museum la mostra “Other Primary Structures”, una risposta a “Primary Structures” del 1966, considerata un classico per aver fatto conoscere la scultura del tardo modernismo al grande pubblico; Hoffmann ne rielaborò i contenuti con l’apporto di artisti non occidentali accanto a quelli originari. Entrambi i progetti sono indubbiamente critici rispetto al curazionismo, ma allo stesso tempo consolidano un canone e celebrano il potere concettuale del curatore. Come accade per molti professori universitari oggi, Hoffmann mette in evidenza le esclusioni ma, allo stesso tempo, non può nascondere il proprio ruolo di arbitro dell’inclusione. Il suo ultimo libro Show Time: The 50 Most Influential Exhibitions of Contemporary Art rappresenta l’ennesimo, involontario elogio funebre dell’avanguardia, una bella edizione di lusso che stabilisce un canone di mostre raramente precedenti al 1990. Instant classic è l’ossimoro del caso.
Lontano dal Palazzo Enciclopedico di Gioni, quello stesso anno a Venezia a palazzo Ca’ Corner della Regina, oggi spazio espositivo della Fondazione Prada, si inaugurò un’altra mostra germinata da un celebre precedente ma con un percorso diverso. Germano Celant, leggendario inventore della denominazione Arte Povera, curò “When Attitudes Become Form: Bern 1969/Venice 2013”, “in conversazione con” l’artista Thomas Demand e l’architetto Rem Koolhaas. Straordinaria rivisitazione della celebre mostra di Szeemann, l’esperimento si potrebbe definire un esempio di “pornografia delle mostre”. Inoltre rientra anche nella più ampia categoria culturale del “feticismo nostalgico”, di cui si sprecano gli esempi: il Don Giovanni di Mozart continuamente rappresentato al Teatro degli Stati di Praga dove debuttò nel 1787; le riedizioni meticolosamente filologiche dei drammi shakespeariani al Globe Theatre di Londra, recentemente ricostruito; il dilagare dei remake di classici hollywoodiani, da Psycho a Carrie; oppure le tournée musicali basate su un solo album riproposto da vecchie band che si riuniscono per interpretarlo per intero dal vivo. Questi eventi possono essere entusiasmanti oppure molto noiosi; in ogni caso essi restano vistosamente, intrinsecamente antitetici all’avanguardia. Il loro motto potrebbe essere a buon diritto: “Evviva il vecchio!”.
È paradossale quindi che una delle mostre culto dell’avanguardia degli anni sessanta, “When Attitudes Become Form”, sia risucchiata senza appello in questa categoria. Senz’altro il percorso è complesso, ambiguo. Il vero titolo della mostra di Szeemann era “Live in Your Head”, una frase che riassume perfettamente il concettualismo, il primato dell’idea sulla forma.
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