Da piazza Maidan a Sebastopoli by Domenico Quirico

Da piazza Maidan a Sebastopoli by Domenico Quirico

autore:Domenico Quirico [Quirico, Domenico]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Saggistica, Attualità e politica
ISBN: 9788854508637
editore: Neri Pozza
pubblicato: 2014-04-30T16:00:00+00:00


Sinferopoli, 2 marzo 2014

Forse scrivo già da un altro Paese. Sinferopoli: non più Ucraina, ma Russia. I nuovi colori, bianco rosso e blu, sono ovunque, sui palazzi del potere, intrecciati nei nastri nei capelli delle ragazze, i soldati russi sono nelle strade, negli aeroporti, già stamane rimetteranno sulle maniche le mostrine che tenevano nascoste, basta un piccolo gesto con la mano. La Crimea torna russa. E poi, forse, tutto il Sudest che ieri era in fiamme, assalti ai Palazzi, feriti, bandiere russe, richieste di aiuto a Mosca: siamo in pericolo, gli estremisti di Kiev ci attaccano. È il congegno applicato qui, con successo. «Putin ci dichiara guerra... è pazzo...» mi ha gridato, sconvolto, un giovane rivoluzionario di Maidan al telefono da Kiev. Gli ho risposto: «No, è solo molto astuto, implacabile e tenace».

Come sempre gli uomini entrano nelle tragedie cantando, berciando, ignari, indifferenti, stoltamente felici: anche qui ieri, a Sinferopoli, fredda e grigia, come sepolta sotto la cenere. Il centro era fitto di gente, anziani, famiglie, fidanzati, venuti ad applaudire i soldati russi, la foto con il telefonino sotto la statua di Lenin, con aria accesa e imbambolata, costumi cosacchi, fruste, vecchie divise della marina russa con i cappelli da ammiragli, cori: una festa con i caffè e i cinema pieni. Ha riaperto anche il circo. Così maciullati dal troppo udire e dal troppo vedere si diventa folla, si crede agli auspici, si trasforma la realtà in simbolo, il fatto in leggenda. Alla radio annunciavano che Putin ha ottenuto i pieni poteri per “entrare in Ucraina”. A Kiev si gridava alla guerra, alla mobilitazione... Che importa! Il conto è regolato, torniamo a casa. Bravo, Putin!

Il Palazzo dei sindacati è caduto alle 13.30. In punto. Non è stato difficile. Lo difendeva, uffici scaloni targhe con i nomi dorati degli stakanovisti degli eroi del lavoro delle alacri formiche del socialismo, soltanto la vecchia signora Irina, vigile e piccolina, con il suo grembiale verde, le ciabatte, lo strofinaccio con cui da più di trent’anni lotta contro il tempo e le scarse cure degli uomini.

Gli assalitori: erano terribili gli assalitori. Una centuria ben inquadrata di energumeni, il volto coperto da passamontagna, torsi e bicipiti che tendevano le tute mimetiche. Sono arrivati in fila per tre, passo militare e la bandiera (russa) in testa. I bellicosi apostoli del neonato “Fronte della Crimea” liberata. La porta del palazzo era chiusa, sabato giorno di festa anche se c’è la rivoluzione e si parla di guerra. «Aprite!» hanno urlato e giù calci e pugni che squassavano i cardini. La vecchia custode si è affacciata da una finestra, sembrava volessero scardinarla di urla ordini imprecazioni. Impavida, ha fatto gesti energici: andate via. Il capo dei forsennati, l’unico a viso scoperto, ha dato un ordine. Hanno portato una lastra di cemento e porta e finestra sono andate in frantumi. Una folla imbandierata applaudiva. Un’auto della polizia è arrivata sgommando scenograficamente. L’aveva chiamata la custode. Non aveva capito che era il primo giorno della nuova era, le vecchie regole, i violenti la polizia l’ordine, tutto finito, abolito, scomparso.



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