Dal ritmo alla legge (Italian Edition) by Florinda Cambria & Carlo Sini

Dal ritmo alla legge (Italian Edition) by Florinda Cambria & Carlo Sini

autore:Florinda Cambria & Carlo Sini [Cambria, Florinda]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Jaca Book
pubblicato: 2020-05-18T22:00:00+00:00


2.3 Le declaratorie d’incostituzionalità

E vediamo le declaratorie d’incostituzionalità che hanno colpito al cuore l’impianto originario della L. 40 del 2004.

a) La sentenza della Corte costituzionale n. 151 del 2009

La prima in ordine di tempo è data dalla sentenza n. 151 dell’8 maggio 200913, con cui fu dichiarata l’incostituzionalità proprio dell’art. 14 appena citato per violazione dell’art. 32 Cost., per cui la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. La Corte costituzionale partì dalla constatazione che la tutela dell’embrione non è assoluta, «poiché anche nel caso di limitazione a soli tre del numero di embrioni prodotti, si ammette comunque che alcuni di essi possano non dar luogo a gravidanza, postulando la individuazione del numero massimo di embrioni impiantabili appunto un tale rischio e consentendo un affievolimento della tutela dell’embrione al fine di assicurare concrete aspettative di gravidanza, in conformità alla finalità proclamata dalla legge». E precisò la Corte: «dunque, la tutela dell’embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela delle esigenze di procreazione».

Sulla base di queste considerazioni, i giudici delle leggi sottolinearono che il divieto di creare un numero di embrioni superiori a tre determinava «la necessità della moltiplicazione dei cicli di fecondazione […], poiché non sempre i tre embrioni eventualmente prodotti risultano in grado di dar luogo ad una gravidanza». Il numero in tal modo determinato non teneva in conto le caratteristiche degli embrioni, le condizioni di salute delle donne sottoposte al trattamento e le progressive difficoltà connesse all’avanzamento della loro età. Tutto ciò comportava la necessità di una reiterazione dei cicli di stimolazione ovarica, laddove il primo impianto avesse avuto esito negativo con l’aumento del rischio di patologie connesse all’iperstimolazione.

In nuce, la norma non consentiva al medico la possibilità di valutare, secondo aggiornati e rigorosi criteri tecnico-scientifici, il trattamento da effettuare, «ritenuto idoneo ad assicurare un serio tentativo di procreazione assistita, riducendo al minimo ipotizzabile il rischio per la salute della donna e del feto». Essa, quindi, da un lato, si poneva in contrasto con lo stesso principio espresso dall’art. 4, 2° comma, della L. 40 del 2004 per cui le tecniche di procreazione medicalmente assistita sono praticate in base al principio di «gradualità, al fine di evitare il ricorso ad interventi aventi un grado di invasività tecnico e psicologico più gravoso per i destinatari, ispirandosi al principio della minore invasività»; dall’altro, violava l’art. 3 Cost., poiché impropriamente assimilava nel medesimo trattamento casi dissimili; infine, violava l’art. 32 Cost. incidendo sul diritto alla salute delle donne che si assoggettavano al trattamento.

La decisione della Corte, sotto questo profilo, diviene maggiormente chiara laddove si tenga in conto un principio che fu enunciato in una sua storica sentenza, la n. 27 del 18 febbraio 197514. Con detta sentenza fu dichiarata l’illegittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 31 (secondo cui la Repubblica protegge la maternità) e 32 Cost., dell’art. 546 cod. pen. [«Chiunque cagiona l’aborto di una donna, col consenso di lei, è punito con la reclusione da due a cinque anni.



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