Desiderio, amore e valori by Unknown

Desiderio, amore e valori by Unknown

autore:Unknown
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mimesis Edizioni
pubblicato: 2023-01-30T00:00:00+00:00


L’amato – prosegue comunque Sartre – vede l’amante come un oggetto nel mondo: l’amante vuole trasformarlo in un uomo che lo veda come il fondamento del mondo, come ciò in cui il mondo si riassume; l’amante deve affascinare l’amato, e cioè, senza agire positivamente sull’altro ma semplicemente ponendosi come pura soggettività che non oggettiva l’altro, proporsi come centro: “sedurre, è assumere interamente a mio rischio e pericolo la mia oggettività per altri, significa mettermi sotto il suo sguardo e farmi guardare da lui, è correre il pericolo di essere visto per incominciare qualcosa di nuovo, ed impadronirmi dell’altro, nella mia oggettività. Io rifiuto di abbandonare il terreno sul quale sento la mia oggettività: è su questo terreno che voglio attaccare battaglia, rendendomi oggetto affascinante. Abbiamo definito l’azione di affascinare come stato, in questa seconda parte; dicemmo allora che è la coscienza non-tetica d’essere il niente di fronte all’essere. La seduzione tende a risvegliare nell’altro la coscienza della sua nullità di fronte all’oggetto seducente. Con la seduzione, cerco di costituirmi con un pieno d’essere, ed a farmi riconoscere come tale” (EN, p. 456).

Gli atti dell’amante devono indicare in due direzioni: alludere ad una profondità di altri infiniti atti costituenti la mia personalità, e alludere al mondo: “D’altra parte, ciascuno dei miei atti tenta di indicare lo spazio più grande possibile del mondo-possibile e deve presentarmi legato alle zone più grandi del mondo, sia che io presenti il mondo all’amata e tenti di costituirmi come l’intermediario necessario tra lei ed il mondo, sia, semplicemente, che manifesti attraverso i miei atti dei poteri, graduati all’infinito, sul mondo (denaro, potere, relazioni, ecc.). Nel primo caso tento di costituirmi come un infinito di profondità; nel secondo, di identificarmi col mondo” (EN, p. 456).

Questo presuppone il linguaggio; Sartre osserva che il linguaggio è già posto con il mio semplice esserci per gli altri: il mio avere un dehors, ed il mio saperlo, sono già linguaggio: “Il linguaggio non è un fenomeno aggiunto all’essere-per-altri: è originariamente l’essere-per-altri; cioè il fatto che una soggettività si sente come oggetto per l’altra. In un universo di puri oggetti, il linguaggio non potrebbe in nessun caso essere ‘inventato’ perché presuppone originariamente un rapporto con un altro soggetto; e nell’intersoggettività del per-altri, non è necessario inventarlo, perché è già dato nel riconoscimento dell’altro. Per il solo fatto che, qualunque cosa io faccia, i miei atti concepiti e compiuti liberamente, i miei progetti verso le mie possibilità hanno al di fuori un senso che mi sfugge e che colgo, io sono linguaggio” (EN, p. 457).

Sartre osserva, però: “in questo primo tentativo di trovare un linguaggio affascinante, vado alla cieca, perché mi regolo solamente sulla forma astratta e vuota della mia oggettività per l’altro. Non posso nemmeno concepire quale effetto avranno i miei gesti e i miei atteggiamenti, perché saranno sempre ripresi e fondati da una libertà che li supererà e perché non possono avere significato se questa libertà non gliene conferisce uno” (EN, p. 458).

Qui preme però richiamare soprattutto un altro punto: “il



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