Diego E Frida by Jean-Marie G. le Clézio

Diego E Frida by Jean-Marie G. le Clézio

autore:Jean-Marie G. le Clézio [Clézio, Jean-Marie G. le]
La lingua: por
Format: epub
ISBN: 9789727082261
Google: rlJ9PgAACAAJ
editore: Relógio D'Agua Editores
pubblicato: 1994-10-14T22:00:00+00:00


Una battaglia a New York

All’inizio di marzo del 1933, Diego e Frida sbarcano alla stazione di New York accolti dalle bufere invernali e in fuga da un’altra bufera, quella che infuria sul cortile interno dell’Istituto d’arte di Detroit. Imbacuccata nelle pellicce, Frida ha lasciato senza rimpianti la città industriale alla quale sono legati tanti brutti ricordi. Ma il suo breve soggiorno in Messico, dove è andata per assistere alla morte della madre, e l’atmosfera tragica che regnava nella casa di Coyoacán non sono nemmeno questi ricordi piacevoli. E poi c’è l’impazienza che ogni volta si impadronisce di Diego alla vigilia di un nuovo lavoro.

Mentre stava preparando gli affreschi dell’Istituto d’arte, Diego aveva ricevuto per il tramite della signora Paine un’offerta per lui entusiasmante: partecipare alla decorazione di Radio City, il nuovo centro culturale e artistico che John Rockefeller Jr. stava facendo costruire nel cuore di New York. Una prima richiesta, indirizzata congiuntamente a Matisse, Picasso e Rivera, è stata rifiutata dai primi due e accettata da Diego a condizione che non ci sia da presentare un dossier di ammissione: «niente competizione», ha scritto all’architetto del Centro, Raymond Hood. Nelson Rockefeller, il figlio di John Jr., aveva comprato numerosi quadri del pittore messicano, e sua moglie Abby, una donna brillante, sensibile e raffinata, era una fervente ammiratrice di Rivera. (Gli ha anche commissionato il ritratto della figlia Babs, che allora aveva tredici anni.) Grazie a Nelson e Abby – nonostante la mala grazia di Raymond Hood che voleva imporre a Diego Rivera dei dipinti su tela in bianco e nero, e al quale Diego rispose che si correva il rischio di far dare al Centro il soprannome di «palazzo dei becchini» –, Rivera fu incaricato della maggior parte del cantiere: la decorazione del salone degli ascensori nella hall d’ingresso, più di mille piedi quadrati (circa cento metri quadrati) per un compenso forfettario di ventunmila dollari.

Questo formidabile cantiere, in un luogo così prestigioso, nel cuore della più grande città del mondo, era per Diego l’occasione della sua vita. Non aveva ancora terminato gli affreschi di Detroit che già stava elaborando i piani per i dipinti di New York. La commissione incaricata di scegliere le opere che avrebbero dovuto accompagnare la costruzione del centro aveva imposto un tema alquanto enfatico, ma che aveva subito parlato all’immaginazione del pittore: «Uomini al bivio, che cercano di scegliere un futuro nuovo e migliore con speranza e con una grande visione». Per Diego, a ogni modo, era l’inizio di una nuova avventura, indubbiamente il più grande confronto con il pubblico che avesse mai sognato.

Dopo la creazione degli affreschi di Detroit, il progetto del centro Rockefeller nascondeva tuttavia qualcosa di ambiguo, che avrebbe potuto far riflettere quel pittore rivoluzionario che voleva essere Diego Rivera. A Detroit, nonostante la presenza del patriarca Henry Ford, l’uomo più ricco del mondo, e le difficili condizioni di vita degli operai della fabbrica, c’era la reale forza delle macchine, una potenza creatrice tangibile sotto forma di immensi parchi automobilistici, laboratori, vagoni che portano



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