Duchamp. La scienza dell'arte (Meltemi) by Marco Senaldi
autore:Marco Senaldi [Senaldi, Marco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Meltemi
pubblicato: 2019-09-25T16:00:00+00:00
2.3.2 “Eye-test”
In tal senso non è un caso che, in una Nota postuma risalente probabilmente al 1913, Duchamp indichi un rimedio all’impotenza della pittura di rendere la sensazione del movimento:
Laddove il quadro si rivela impotente […] a generare uno stato cinematico (reale o ideale), il linguaggio può spiegare più tappe di questo riposo non già descrittivamente […] ma [con lo] spiegare un possibile del Riposo che si sviluppa […]32
Il linguaggio verbale è in grado dunque di fare ciò che un quadro non riesce a esprimere: cioè generare uno stato “cinematico” nel senso dello “sviluppo di un possibile movimento”. L’elemento linguistico, che si aggiunge all’immagine, in senso disgiuntivo, come regime di discorso che ne sovverte un altro33, potrebbe mettere in movimento (mentale) l’immagine. Ma “non certo descrittivamente” aggiunge Duchamp, cioè non in senso “letterario”, ma nel senso di una “spiegazione”, qualcosa che “dis-piega”, “ex-plique” uno “svilupparsi del Riposo” – dove Riposo, in quanto sinonimo di “ritardo” qui indica una caratteristica ben precisa del Grande Vetro (come abbiamo già visto), quella cioè di essere una sorta di quadro-monitor che però gioca consapevolmente sull’“inerzia fisiologica”, il “ritardo” tra stimolo e risposta34.
È interessante il fatto che Duchamp abbia sempre tenuto a precisare che l’esempio più importante di questa funzione linguistica, cioè le Notes per il Grande Vetro, non avessero un valore “letterario”. Nell’intervista a James J. Sweeney del 194635, The Great Trouble with Art, Duchamp afferma di non condividere i giudizi di “intellettuale” e “letteraria” che furono espressi sulla sua pittura, e precisa: “Io ero invece molto più interessato a ricreare idee in pittura” – ed è proprio per esprimere queste idee che “il titolo era molto importante”36.
Più tardi, negli Entretiens con Cabanne, ribadisce che ciò che lo interessava soprattutto erano “i titoli in genere”, e l’“anti-senso […] dal punto di vista della frase”37. Ma ancor più importante era per lui l’aspetto letterale-fisico delle parole, dato che “leggere le lettere, è assai divertente”, e che “semplicemente leggendole […] si arriva a cose sbalorditive [choses étonnantes]”38.
Pochi anni prima, nel 1959, aveva collegato l’impiego delle “parole” nelle sue opere d’arte, in funzione “anti-retinica”, senza per questo forzatamente usarle in senso “letterario”:
Ero convinto che fosse una reazione contro la concezione retinica della pittura, e lo penso tuttora. La pittura letteraria è stata fatta prima, ma la mia arte non è letteraria. È molto più profonda di così. Usa le parole, ma usare le parole non è necessariamente [essere] letterario.39
Qual è allora il senso di questo impiego delle parole, che vengono utilizzate quasi nella loro “fisicità”, in un senso “molto più profondo” di quello letterario? Se consideriamo, per cominciare, il Nu descendant un escalier n. 1 (del dicembre 1911) vediamo che esso riporta quasi didascalicamente il proprio titolo non all’esterno (sulla cornice ad esempio, o su un’etichetta laterale), ma all’interno dello spazio iconografico, “dandogli un senso”, ma anche sovvertendo l’impressione visiva, portando “la mente dello spettatore verso altre regioni più verbali”40.
Se il soggetto del quadro deriva visivamente dalle cronofotografie di Marey, è stato meno notato che, nelle tavole
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