Eclissi 2000 by Lino Aldani

autore:Lino Aldani [Aldani, Lino]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
Google: jzs2HQAACAAJ
editore: G. De Vecchi
pubblicato: 1979-12-15T13:35:50+00:00

10

Mi chiamo Vargo Slovic, ho venticinque anni e sono coordinatore di terza classe a bordo della Terra Madre. Anche noi “bianchi” indulgiamo in questa espressione di comodo. Diciamo “a bordo” come se la Terra Madre fosse davvero un vascello che solca l’oceano o una cosmonave lanciata negli spazi siderei.

Ma è soltanto un’espressione di comodo. Oltre che una bugia. Mi chiamo Vargo Slovic, questo è quanto posso dire per il momento. Poi, bisognerebbe continuare con la descrizione dell’ambiente, elencare tutta una serie di particolari insulsi, cose di nessun conto, anche se ambigue e sfuggenti. E soprattutto, dare il senso del chiuso, di un universo a tenuta ermetica, qualcosa di metallico e freddo, dove tutti soggiacciono a leggi dalle finalità imperscrutabili. Tutto come prima.

Un anno fa avrei potuto parlare molto più a lungo di Eugenio e di Wanda, di Lazlo Foldï e delle vasche idroponiche, di Ludmilla Zorda.

Avrei potuto sbizzarrirmi nella descrizione del Corridoio Grande con le sue luci che alla sera volgono all’azzurro per dare l’illusione della notte.

Oppure… Anche la Sala della Sapienza aveva i suoi angoli d’ombra e di mistero. Scaffali polverosi e volumi, volumi che quasi mai nessuno sfogliava, nonostante fossero stracolmi di enigmi e di problemi irrisolti.

Un anno fa avrei potuto intessere un poema alla cipria luminosa dello spazio, cantare il coro dei sospiri sotto la cupola immensa che alimentava i nostri sogni come un’incubatrice.

Un anno fa. Allora ero sciocco e infelice. Come oggi. Un anno fa languivo nell’incertezza o m’incendiavo nell’eccitazione di congetture abissali, pazzesche ipotesi che alla fine congelavano la mente.

Non è cambiato nulla. Vladimiro Spitzer è soltanto un ricordo. Ne parliamo come se fosse stato un’escrescenza, un porro bruciato via dal nitrato d’argento della logica e della ragion di Stato. Ma forse fingiamo tutti. E Diana Abgrund… Non lo so, ho l’impressione che superiori disegni me l’abbiano allontanata per sempre. O forse è irraggiungibile solo per un mio capriccio.

Non succede mai nulla, qui, a bordo della Terra Madre. Le ore trascorrono lente, tra la cella-ufficio e la sala-soggiorno, un drink con i colleghi d’occasione e poi la solitudine dell’alloggio personale.

A volte, il bianco della tuta che indosso mi procura ancor oggi un senso di vertigine. È come se qualcuno mi toccasse all’improvviso alle spalle per farmi girare e poi mi piantasse contro un indice accusatore. È vero, se un anno fa mi sentivo vittima, oggi i ruoli risultano invertiti. È difficile accantonare il senso di colpa e procedere con freddezza e indifferenza.

Ricordo quella volta nel locale del vecchio Blumer. C’era l’atmosfera degli avvenimenti straordinari: Arsenio Tauber e Roda Solinas che avevano avuto il permesso di avere un figlio. Ricordo Ludmilla, la vecchia cara Ludmilla, burrosa e materna, che mi chiedeva: – Ti piacerebbe essere un “bianco”?

Quella volta alzai le spalle. Oggi non potrei più, tanto esse sono incurvate sotto il peso di quella responsabilità che allora, istintivamente, ripudiavo. Il mestiere del “bianco” non è facile, anche se espletare certe mansioni porta con sé un senso di pienezza e di orgoglio.

Qui a poppa ho preso il posto di Slezek, costretto al riposo per un esaurimento nervoso dovuto a super lavoro.

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