Enrico Fermi. L’ultimo uomo che sapeva tutto by David N. Schwartz

Enrico Fermi. L’ultimo uomo che sapeva tutto by David N. Schwartz

autore:David N. Schwartz
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788828201052
editore: Solferino
pubblicato: 2018-05-15T00:00:00+00:00


Figura 18.2. L’autore al pannello di controllo del reattore B di Hanford. Foto di Susan Schwartz.

Tutti i presenti furono presi dal panico. Solo per il reattore erano stati spesi oltre sette milioni di dollari (95 milioni di dollari odierni), senza contare il costo sbalorditivo delle barre di combustibile. Il governo statunitense stava spendendo in totale 350 milioni di dollari, per altri due reattori di produzione, gli impianti di separazione per le barre di combustibile, e tutte le strutture necessarie per una piccola città di quarantacinquemila persone: quasi cinque miliardi di dollari di oggi, all’epoca una spesa inaudita da parte degli Stati Uniti. Se quel reattore non fosse riuscito a fare il suo dovere, però, non sarebbe stata solo una perdita di tempo e denaro, ma un’impasse cruciale nella produzione di uno dei materiali principali per la bomba stessa. Mentre si cercava di capire cosa stava andando storto, e di riuscirci in fretta, la pressione era enorme.

Nel corso dell’ultimo anno a Wheeler era capitato di preoccuparsi dell’«avvelenamento» del reattore. Secondo i suoi calcoli poteva essere un problema lasciare che si accumulassero i sottoprodotti della reazione di fissione, in particolare ad alta potenza. Questi sottoprodotti potevano sottrarre neutroni alla reazione a catena, rallentandola o addirittura arrestandola; in altri termini, «avvelenandola». Fu per questo motivo che lui e l’ingegnere della DuPont George Graves avevano deciso di «sovradimensionare» il reattore, installando un terzo dei canali in più rispetto a quanto necessario, secondo Wigner, perché il reattore funzionasse a 250 megawatt.

In ogni caso, non fu subito chiaro a cosa fosse dovuta la perdita di potenza. Fermi e Leona Libby sospettavano che l’acqua del sistema di raffreddamento fosse penetrata nelle barre di combustibile, ma un’ispezione escluse l’ipotesi. Si pensò poi che il fattore di riproduzione potesse calare per una perdita nelle condutture di elio sotto pressione, pompato nel nucleo di grafite per sostituire l’aria, ma non si trovò nessuna perdita.

Il reattore stesso diede un suggerimento importante sulla causa del problema: ripartì spontaneamente. Per tutto il pomeriggio di mercoledì riprese potenza e giovedì pomeriggio, il 28 settembre 1943, ritornò a nove megawatt, ma poche ore dopo ricominciò a vacillare.

Wheeler sospettò che, come sottoprodotto della reazione a catena, fosse apparso qualche elemento radioattivo con un’enorme capacità di assorbire neutroni e un breve tempo di dimezzamento, dell’ordine di circa undici ore, dopodiché la reazione a catena poteva ripartire a piena forza. Sospettava inoltre che, poiché il calo avveniva solo dopo che il reattore riusciva a raggiungere la notevole potenza di nove megawatt, il vero veleno fosse generato a sua volta da un altro sottoprodotto radioattivo che non assorbiva i neutroni ma decadeva in qualcosa che li assorbiva; altrimenti il reattore non avrebbe neppure raggiunto i nove megawatt. Wheeler consultò un grafico che elencava i possibili isotopi formati nelle reazioni di fissione, con i rispettivi tempi di dimezzamento, in cerca di un sospetto. L’unico candidato era lo xenon-135, prodotto nel decadimento dello iodio-135, che a sua volta è noto come sottoprodotto di prima generazione della fissione dell’uranio. Lo xenon-135 ha un tempo di dimezzamento di poco più di nove ore.



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