Erba, Edoardo by ami

Erba, Edoardo by ami

autore:ami
Format: epub
pubblicato: 2019-10-08T16:00:00+00:00


3

«Devi ambientarti.» «Dovete ambientarvi.» «È questione di ambientarsi.» Rabiaa me lo ripeteva sempre ma io a Ospedaletti di ambientarmi non avevo proprio voglia. Avevo finito i soldi, e stare a casa sua con Majid e senza i soldi non mi piaceva, perché pagava tutto Zakaria e ogni volta che pagava anche per noi diceva qualche parolaccia. E poi eravamo in due stanze, io dormivo in cucina con Majid e quando loro andavano a letto si sentiva tutto. Volevo trovare un lavoro e prendermi una camera mia, ma qui non era come in Marocco, tutto costava caro. «Come fai a trovare lavoro se non sai la lingua?» diceva Rabiaa. «Chi ti prende?» Ma se stavo sempre in casa, come facevo a imparare la lingua? Finora avevo imparato solo a dire sì e grazie. In un mese ero uscita sì e no cinque volte, tutti ci guardavano per come eravamo vestite e io avevo vergogna anche a camminare. C’erano delle belle strade, delle belle macchine a Ospedaletti, bei ragazzi e belle ragazze, e noi sembravamo delle persone che non c’entravano niente, e quando passavamo tutti insieme – perché Zakaria diceva che le donne non dovevano uscire da sole – la gente si faceva da parte o cambiava strada. Non alzavo mai gli occhi da terra, e di Ospedaletti l’unica cosa che conoscevo bene erano le piastrelle dei marciapiedi. Che erano belle, erano tenute abbastanza bene. Volevo comprarmi qualcosa di nuovo da mettermi addosso, ma come facevo senza i soldi? Te li presto io, diceva Rabiaa, che era una persona generosa, ma i soldi li rubava dal portafoglio del marito. Zakaria faceva l’aiuto cuoco in un albergo di Sanremo, che era un posto vicino a Ospedaletti. Era più piccolo di Rabiaa, e aveva una voce acuta, come quella delle donne. Era molto religioso, e subito i primi giorni, quando si è accorto che io non pregavo, aveva cominciato a dire a sua moglie che era una vergogna, che non insegnavo neanche le preghiere al piccolo. Non sapeva ancora parlare, che preghiere dovevo insegnargli? Comunque per lui era una vergogna. La parola vergogna e la parola ambientarsi erano quelle che giravano di più in casa.

Una domenica sera in camera da letto Rabiaa e Zakaria cominciano a discutere a voce alta. Una brutta discussione perché parlavano di me e di Majid e Rabiaa continuava a dire: «Guarda che sentono» e Zakaria diceva: «E che sentano, per quel che mi importa!». «Voglio capire perché te la sei portata in casa» urlava Zakaria. «Siamo amiche» diceva Rabiaa, «io non ho nessuno qui, tu sei tutto il giorno via, ho solo lei per chiacchierare.» «Amiche? Non la conosci nemmeno. Chi è il padre del bambino?» «È morto, non capisci che è morto?» «Quella per me è una zania. Neanche le preghiere dice. È una zania e noi ce la teniamo in casa col bastardo.» Dev’essere partita anche una sberla e ho sentito che Rabiaa si metteva a piangere. Poi è comparsa in cucina, dove dormivamo noi e mi ha detto: «Scusa».



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