Figure, idoli, maschere by Jean Pierre Vernant

Figure, idoli, maschere by Jean Pierre Vernant

autore:Jean Pierre Vernant
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Saggistica
pubblicato: 2018-06-05T22:00:00+00:00


3. Narciso e lo specchio di Dioniso

9) Collocando in tal modo lo specchio nell’ambito dell’erotica platonica, ci troviamo immediatamente nel cuore del mito di Narciso. Seguendo Jean Pépin e Pierre Hadot, i cui testi sono stati per noi una guida (J. Pépin, «Plotin et le miroir de Dionysos», in Rev. Int. Phil., 1970, vol. XXIV, pp. 304-320; P. Hadot, «Le mythe de Narcisse et son interprétation par Plotin», in Nouvelle Revue de Psychanalyse, 1976, n. 13, pp. 81-108), ne abbiamo presentato un’analisi minuziosa. Senza riprenderla in questa sede, vorremmo solamente segnalare i due ordini di problemi ai quali abbiamo tentato di dare una risposta nella prospettiva che ci è propria. Innanzitutto, per quale ragione il mito di Narciso è quasi sempre presentato, che si tratti di immagini ο di scritti, all’interno di un contesto dionisiaco? In altri termini, nei primi secoli della nostra èra, che cosa spinge ad associare, nello spirito di pittori, poeti e filosofi la storia di Narciso all’universo religioso dionisiaco? Seconda domanda: fra la vicenda di Narciso e lo «specchio di Dioniso», presso gli autori che abbiamo citato, Plotino in particolare, quale tipo di rapporto può essere stabilito? Di corrispondenza ο di opposizione?

Ricordiamo a nostra volta, per cominciare, qualche tratto significativo della situazione amorosa di Narciso. Alla ninfa Eco, innamorata di lui, Narciso dichiara: «Morire piuttosto che essere posseduto da te». L’amante di cui egli disdegna le proposte reclama la sua punizione con queste parole: «Possa anch’egli amare altrettanto e giammai possedere l’oggetto del proprio amore». Di fronte a colui di cui si è innamorato e che, nella trasparenza delle acque di una fontana, risponde a ogni suo sguardo con il medesimo sguardo, a ogni suo gesto con un simmetrico gesto («Quando ti tendo le braccia, tu mi tendi le braccia, quanto ti sorrido, tu mi sorridi»), cosa fa Narciso non appena comprende che questo altro è lui stesso? Mentre grida «Iste ego sum», egli esprime tale rimpianto e tale desiderio: «Non potermi separare dal mio corpo […] io vorrei che ciò che amo fosse distante da me». Alla formula con cui egli aveva allontanato Eco e che abbiamo ricordato, «Emoriam quam sit tibi copia nostri», risponde esattamente quella che lo autocondanna: «Inopem me copia fecit, il possesso che ho di me stesso fa sì che io non possa possedermi». Nei Fasti, Ovidio riassumerà i dolori del giovane con questa frase che giustamente Hadot pone come esergo nel suo articolo: «Narciso, infelice di non essere differente da se medesimo».

Lo specchio in cui Narciso si vede come se fosse un altro, in cui egli s’innamora di questo altro, senza dapprima riconoscervisi, e in cui lo ricerca nel desiderio di possederlo, traduce il paradosso, in noi, di uno slancio erotico che mira a riunirci a noi stessi, a ritrovare la nostra integralità, ma che può riuscirvi soltanto attraverso una deviazione. Amare significa tentare di riunirsi nell’altro.

Il riflesso di Narciso e lo specchio di Dioniso raffigurano entrambi la tragedia del ritrovamento impossibile di sé; il desiderio di riunirsi a se stessi presuppone al tempo stesso che ci si allontani da sé, che ci si sdoppi e ci si alieni.



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