Fino a Salgareda by Silvio Perrella
autore:Silvio Perrella [Perrella, Silvio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Biographies & Memoirs, Arts & Literature, Artists; Architects & Photographers, Authors, Literature & Fiction, History & Criticism, Regional & Cultural, European, Italian, Foreign Languages, Biographies; Diaries & True Accounts, Criticism & Theory
Amazon: B012OFE46Y
editore: Neri Pozza
pubblicato: 2015-07-26T22:00:00+00:00
Il crematorio di Vienna, 1969
Si tratta di prose narrative scritte prima, durante e dopo il romanzo e, vista la loro contiguità tematica, sarebbe facile considerarle semplicemente come i dintorni de Il padrone: un po’ materiali preparatori, un po’ puntualizzazioni posteriori. Lo sono probabilmente nella prima parte del libro, quella più spiccatamente «aziendale»; lo sono invece molto di meno nella parte finale, dove prevale uno humour nero rabbioso e quasi frenetico e il libro gira come un carosello da incubo.
Fu Eugenio Montale a cogliere il limite maggiore di questo libro: se ne Il padrone il «motivo del consumo, della quasi perfetta simbiosi tra il consumante e il consumatore e il consumato, dava luogo a un grottesco di forte interesse narrativo», scrisse il poeta ligure, nel Crematorio, invece, «i personaggi pure restando anonimi (portano soltanto un nome che è una lettera dell’alfabeto) vivono in ambienti ben definiti, hanno caratteri fisici e psicologici accettabili ma perdono alquanto in credibilità. Altro è trovarsi nella condizione del robot, altro sapere di esserlo. Le figure di questo défilé pensano e riflettono sulla loro condizione con una straordinaria consapevolezza, ciò che nella vita quasi mai accade». D’altronde, lo stesso Parise sentì in queste prose una «eccessiva razionalizzazione, cioè difetto di poesia»; anche se le immaginava come il «logico punto d’arrivo della forse inconscia operazione neoromantica» che aveva avuto inizio nel ’51 con Il ragazzo morto e le comete e che nel Crematorio di Vienna «appare per così dire polverizzato».
La polverizzazione è evidente nella serialità di queste trentatré brevi prose ossessivamente percussive. Sia Il crematorio di Vienna sia i successivi Sillabari sono raccolte seriali, ma nel primo caso si tratta di una serialità un po’ meccanica, nel secondo musicale.
Il crematorio di Vienna porta su di sé tutte le stimmate del tempo: in esso vi sono minuziosamente elencati stipendi, costo degli oggetti e delle case, e tante altre cose che segnalano i «valori» materiali dell’epoca. E l’epoca è costituita da tutto l’arco degli anni Sessanta; quegli anni in cui, secondo Cesare Garboli, «una nube tossica, non so come definirla altrimenti, scese sul talento di Parise, a offuscarlo e a mortificarlo... Fortuna che i viaggi lo portarono altrove, a discutere e a disimparare l’ideologia nei reportage. Perché è stata l’ideologia, che dico, la caricatura dell’ideologia, l’epidemia delle ideologie letterarie, a produrre dalle viscere di quegli anni un infausto formicaio di libri tossici, dal fiato cattivo, ma, non si sa come, anche completamente inodori e privi di qualunque sapore»: i racconti de Il crematorio «portano nella fuliggine che li ricopre i segni del contagio e del passaggio in quel terribile tunnel». Eppure l’attraversamento di quel tunnel, la capacità rabbiosa di aggredire in modi diversi, anche se contigui, la stessa materia che aveva dato vita a Il padrone, furono per Parise necessarie, quasi una «cremazione» di tutte le possibili scorie. Fu necessario, quell’attraversamento, per scrivere subito dopo i Sillabari.
Il titolo oscuramente allusivo (l’editore si sarebbe limitato a L’uomo in serie), e la prosa che lo suscita, la n. 9, riportano il lettore
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