Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada by Paolo Facchinetti

Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada by Paolo Facchinetti

autore:Paolo Facchinetti [Facchinetti, Paolo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Paolo Facchinetti; Alfonsina Strada; Antonella Stelitano; Ediciclo; ciclismo femminile; bicicletta; ciclismo; giro d'Italia;
editore: Ediciclo
pubblicato: 2023-05-30T07:53:26+00:00


Le terribili montagne d’Abruzzo

Un’altra levataccia, nella notte del 22 maggio. Il raduno per la firma dei quarantotto superstititi era stato fissato per le tre e mezza, la partenza alle 4.20. La Foggia-L’Aquila, settima tappa del Giro, prevedeva 304 km, che presumibilmente i corridori avrebbero percorso a bassa andatura. Si partiva dalla piana pugliese e si arrivava nel capoluogo abruzzese dopo aver attraversato l’Appennino. Certo, si sarebbero evitate le grandi montagne, ma il percorso si snodava comunque in quota, fra valli, picchi e gole. Un paesaggio suggestivo della cui selvaggia bellezza certamente i corridori non avrebbero potuto godere. Fra le asperità della giornata c’era il valico del Macerone, poco oltre la metà gara. Oggi non fa più paura a nessuno, anche se qualche vittima la miete ancora, ma allora per i ciclisti era un autentico spauracchio. Gay, primo in classifica, era fra i più preoccupati: lui era essenzialmente un velocista e un buon passista e dunque sicuramente se la sarebbe vista brutta sulle salite in programma.

Alfonsina Strada pareva elettrizzata: quel percorso per lei era un’autentica incognita, non conosceva le difficoltà delle montagne se non per sentito dire, non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi con l’alimentazione, non sapeva se le sue gambe avrebbero retto lo sforzo, temeva questa volta più che mai di restare da sola, in fondo alla fila dei corridori, di vederli allontanare. Se fosse riuscita ad arrivare al traguardo, avrebbe vinto davvero una bella sfida.

Partirono al buio tutti intruppati e silenziosi: inutile tentare imprese, le difficoltà del tracciato avrebbero fatto una selezione naturale. La strada apparve subito insidiosa, per le buche di cui era crivellata e che costringevano i corridori a sobbalzi continui e pericolosi per l’integrità delle persone e delle biciclette. Fu a Lucera, dopo una ventina di chilometri, che Alfonsina si accorse di non avere più la pompa: doveva averla persa per strada a causa di uno di quei sobbalzi. Si fermò sul ciglio della strada, lasciò che gli altri si allontanassero. Decise che doveva assolutamente cercare la sua pompa: sarebbe comunque rimasta indietro e dunque se avesse forato a chi mai avrebbe potuto rivolgersi per gonfiare il tubolare riparato? Non era ancora l’alba, faceva buio. Dio l’assisteva, però: miracolosamente riuscì a vedere la sua pompa, era sul bordo della strada, nessuna vettura del seguito l’aveva schiacciata o danneggiata.

Rinfrancata, riprese la sua corsa mentre le strade cominciavano via via ad animarsi, gente che andava al lavoro, carri di verdure e frutta trainati da cavalli o buoi e diretti ai mercati. Chi la riconosceva, per via del numero o di quei capelli tagliati in maniera inconfondibile, la incoraggiava urlandole dietro – non senza un po’ di ironia – che gli altri non erano lontani, li poteva prendere...

In effetti ne prese due, Cividini e Aperlo, che con lei avevano spesso condiviso le ultime posizioni del gruppo. Erano cominciate le salite e i due parevano aver deciso di prendersela comoda. Alfonsina stette un po’ con loro, ma poi decise che non si sarebbe arresa così: se c’era da soffrire, da morire, lei avrebbe sofferto o sarebbe morta.



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