Gli italiani al Tour de France by Giacomo Pellizzari
autore:Giacomo Pellizzari [Pellizzari, Giacomo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Utet
pubblicato: 2018-05-24T22:00:00+00:00
Valigia
Felice Gimondi, Aix-les-Bains, 9-10 luglio 1965
9 luglio 1965, 8.30 di sera. Sul guantino sinistro ci sono scritti i nomi degli uomini di classifica. Su quello destro quelli dei velocisti. Tra chi corre per vincere questo Tour de France, il primo nome segnato è sicuramente “Poupou”, ossia Raymond Poulidor. Un francese, il beniamino locale. È arrivato soltanto secondo nell’edizione dell’anno precedente, persa per un soffio dietro al rivale di una vita Jacques Anquetil, ma almeno mezza Francia da quel giorno tifa per lui. Si dice sia un personaggio sincero, forte, ruspante. Anche se tremendamente sfortunato. Un giornalista di “Le Monde” ha scritto: «C’è una sola cosa che funziona in Francia ed è Poulidor». Qualcuno, da qualche tempo, ha persino coniato il termine “Poulidorisme”, quasi Poulidor non fosse un semplice ciclista figlio di contadini, ma rappresentasse un vero e proprio modo di essere, un partito politico, un sentimento nazional-popolare. Tutto l’opposto dell’elegante avversario: Anquetil, il corridore caro all’élite. Raymond Poulidor corre per la Mercier BP, ma il nome della sua squadra, sul guantino in pelle di daino, non ci stava.
I velocisti – annotati sull’altro, il destro – sono invece autentiche macchine da guerra capaci di divorare la strada negli ultimi duecento metri, facendone un sol boccone. Le loro gambe sono fauci spalancate, pronte ad azzannare asfalto, ghiaia, terriccio: tutto quello che trovano sul loro cammino.
Il proprietario dei due guantini, un italiano di belle speranze di soli ventidue anni, si chiama Felice Gimondi e questo è il suo primo Tour de France da professionista. Felice si difende come un leone su entrambi i fronti. In classifica generale, dov’è inaspettatamente primo in maglia gialla, ma anche negli arrivi in volata, dove scatta come un puledro di razza. Gli hanno sempre detto che è un ciclista completo, forte in salita quanto a cronometro. E, vista la giovane età – farà i ventitré a settembre prossimo – si dice sia un predestinato. Magari, ecco, è un diesel, quello sì. Ha bisogno della prima salita per carburare bene, ma poi, dalla seconda ascesa in avanti, non lo prendono più.
La finestra della camera d’albergo, un due stelle nel centro di Aix-les-Bains, piccolo comune del dipartimento della Savoia, è spalancata. Le persiane sporgono verso il cortile interno perfettamente simmetriche tra loro. Sul tavolino c’è una valigia aperta: stranamente non ha l’aspetto del tipico bagaglio da migrante italiano all’estero. Non ci sono, per intenderci, mutande o calzini sparsi in bella vista, non è chiusa con lo spago e non appare logora. I vestiti al suo interno sono anzi accuratamente piegati, quasi li avessero appena stirati. Cosa impossibile per altro: si è appena conclusa la diciassettesima tappa della Grande Boucle, da Briançon ad Aix-les-Bains, 193 chilometri di saliscendi, da stendere un toro. Difficile avere il tempo e, soprattutto, la testa per sistemare la valigia.
Il proprietario del bagaglio, questo Felice Gimondi, è un tipo molto meticoloso, financo ossessivo. Non c’è nulla fuori posto, non solo in quella valigia, ma in tutta la stanza d’albergo. La maglia gialla, conquistata già nella terza frazione, giace, ça va sans dire, perfettamente ripiegata su una sedia.
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