I piccoli maestri by Luigi Meneghello

I piccoli maestri by Luigi Meneghello

autore:Luigi Meneghello
La lingua: ita
Format: epub
editore: BUR
pubblicato: 2011-08-30T04:00:00+00:00


Parabello in spalla — caricato a palla

Sempre bene armato — paura non ho.

Quando avrò vinto — ritornerò.

Cantavano anche una canzone che era un dialogo tra la Comare e l’Uccellin, il quale ultimo interloquiva “sbattendo gli occhi”, e questo particolare piaceva molto a Enrico. Bene diceva che era fresca.

Questi ragazzi di Roana ci trattavano senza sospetto, ma anche senza speciale ammirazione; la nostra con loro era un’alleanza. Si fidavano di noi, e noi di loro. Altri nostri compagni venivano da varie frazioni e contrade dell’Altipiano, individualmente o in piccoli gruppi; con questi ci si conosceva meglio, da persona a persona. Io diventai amico soprattutto col Moretto, che aveva la mia età, e veniva da una delle contrade che ci sono a nord di Asiago, proprio sull’ultimo margine della conca verde. Avrà fatto sì e no le elementari, ma era evidente che se avesse studiato sarebbe stato bravo come i più bravi di noi. In questi casi l’intelligenza fa sempre più impressione, quando è nativa e non vincolata; c’è dentro qualcosa che attira e commuove. Io mi affezionai molto a lui, e lui a me, credo. Mi piaceva parlargli, mi trovavo a spiegargli, mettiamo, come si sono fatte le montagne, press’a poco s’intende, e lui mi spiegava come si comportano certe piante o certe bestie dopo le piogge; e sempre con una certa gioia, perché ci piaceva stare insieme.

Con questi ragazzi, io avevo un grandissimo pudore di parlare di qualsiasi cosa con l’autorità di uno studente bravo, ma col Moretto non provavo nessun imbarazzo. È strano, di lui non ricordo quasi niente di preciso, solo che era scuro di pelle e di capelli, ben fatto, vivace. Quando fu trovato era giù su uno spuntone e aveva l’arma vicino; all’ultimo momento, per non farsi prendere, era saltato dalle rocce, e gli ucraini, perché erano ucraini in quel settore, non vollero o non riuscirono a scendere dov’era caduto, per cavargli almeno le scarpe e prelevare l’arma. La morte di questo amico non provoca dolore, solo tristezza; è un diagramma dove l’orrore di cui queste cose devono essere impastate, quando succedono, non si sente più, è diventato un segno tra due assi cartesiani, leggibile e indoloro.

Il russo si chiamava Vassili; non so bene come si fosse aggregato agli altri quando erano venuti da Belluno, l’avranno trovato Lelio o Antonio in qualche parte; era da Kiev; ispirava immediatamente fiducia. Antonio gli parlava in russo, e la cosa non ci sorprendeva: come meravigliarsi se lui, che si era mantenuto così immacolatamente fedele alle verità della storia europea, parlava anche il russo? Prima non avevo mai saputo che lo parlasse; ma quando si mise a chiacchierare con questo russo nella sua lingua, e il russo gli rispondeva, la cosa mi parve del tutto naturale.

Devo dire che Antonio era uno di quegli uomini che parlano tutte le lingue con lo stesso accento, l’opposto di uno come me, per esempio, che invece avrei la tendenza a sentire le lingue in modo piuttosto frivolo. Invece quando Antonio parlava con qualcuno, da



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