Il Boccaccio e la superstizione by Arturo Graf

Il Boccaccio e la superstizione by Arturo Graf

autore:Arturo Graf [Graf, Arturo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: General Fiction
editore: Enigma ed.
pubblicato: 2022-04-07T22:00:00+00:00


III

Oltre le superstizioni di carattere più particolarmente religioso, molte ve ne sono, le quali con la credenza religiosa o non han che vedere, hanno solamente una qualche attinenza lontana. E anche per queste si possono trovare nel Decamerone i documenti del pensiero del Boccaccio.

Anzi tutto si vuole avvertire novamente che certe opinioni, sebbene contrarie a verità, non vogliono reputarsi superstiziose, fondandosi esse sopra semplici errori di fatto. Nella novella 7a della giornata IV si narra come Pasquino e la Simona morissero dopo essersi fregata ai denti una foglia di salvia, e come dell'esser divenuta velenosa la salvia fosse cagione una botta, o specie di rospo, che trovandosi nel cesto della pianta l'aveva col fiato attossicata. Che il rospo fosse velenoso fu credenza comune nel medio evo, derivata dagli antichi. Alessandro Neckam, nel suo libro De naturis rerum, Corrado di Megenberg, nel suo Buch der Natur, ed altri, dicono che il rospo mangia volentieri la salvia, e comunica spesso il suo veleno alle radici di essa. Checchessia di ciò, al rospo, oltre a parecchie qualità naturali abbastanza strane, non poche se ne attribuivano soprannaturali e diaboliche. Cesario di Heisterbach racconta la meravigliosa storia di un rospo, che ucciso più volte, bruciato e ridotto in cenere, perseguitò senza requie il suo uccisore, finchè potè morderlo e vendicarsi28. Nelle pratiche di magia il rospo figura continuamente. Il Boccaccio nella sua novella non accenna se non ad una proprietà naturale.

Che il Boccaccio credesse nei sogni fu già avvertito di sopra, ed è provato ancora dalle novelle 5a e 6a della giornata IV, e 7a della giornata IX. Di questa credenza, la quale non appartiene ad ogni modo alla superstizione più grossolana, non voglio scusarlo; ma è da notare per altro che egli non la séguita senza recarvi qualche restrizione. Cominciando a narrare la novella dell'Andreuola e di Gabriotto, Pamfilo, che esprime qui evidentemente la opinione dell'autore, dice: «... molti a ciascun sogno tanta fede prestano, quanta presterieno a quelle cose che vegghiando vedessero; e per li lor sogni stessi s'attristano e s'allegrano, secondo che per quegli o temono o sperano. Et in contrario son di quelli che niuno ne credono, se non poi che nel premostrato pericolo caduti si veggono. De' quali nè l'uno nè l'altro commendo, per ciò che nè sempre son veri, nè ogni volta falsi».

Tra le molte credenze superstiziose del medio evo una delle più diffuse e delle più irrazionali fu quella che attribuiva alle pietre preziose svariate virtù soprannaturali. Basta leggere il Liber lapidum che va sotto il nome di Marbodo, vescovo di Rennes (morto nel 1123) e gl'innumerevoli Lapidarii che ne derivano, per vedere a quali stranezze quella credenza, ereditata del resto in massima parte dagli antichi, potesse giungere. C'erano pietre che rendevano invulnerabili, pietre che assicuravano la vittoria, pietre che componevano le discordie, pietre che davano la sanità, pietre che fugavano i diavoli, pietre che mettevano in grazia di Dio.

Gli è certo cosa strana, e tale da poter offrire argomento a più di una considerazione, il vedere come



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