Il cameriere di Borges by Fabio Bussotti

Il cameriere di Borges by Fabio Bussotti

autore:Fabio Bussotti [Bussotti, Fabio]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 2012-05-14T22:00:00+00:00


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«Dottore, ma…».

«Buttate via tutto».

Il giovane Alexander, della ditta di traslochi Fratelli Alexander e Roman Dubesco, non ci voleva credere.

«Ma è tutta robba bona. Non butta via mobile come questo».

«E allora, non buttarlo. Dallo a qualcuno. Vendilo. Basta che lo porti via».

Siccome era impossibile mettere ordine nello sfacelo in cui era ridotta la casa, tanto valeva disfarsi di tutto.

«Buttiamo via anche questi?».

Erano tutti i dischi in vinile dei gruppi progressive anni Settanta. Stava per dire di sì, poi sentì un tuffo al cuore e disse di no.

Il conto in banca, dopo il salasso del viaggio in Argentina, e nonostante la tredicesima, era ridotto a quattro spiccioli. Aveva raggiunto un accordo con Isidoro Piperno, proprietario di un negozio di arredamenti sotto i portici di piazza Vittorio. Aveva ordinato un letto con tanto di materasso ortopedico, un divano, un armadio, un tavolo e quattro sedie. Il tutto veniva pochi euro d’acconto e trentasei scomode rate per i prossimi tre anni.

«E questi?».

Erano i dischi in vinile dei cantautori italiani. Stava per dire di no, poi sentì un altro tuffo al cuore e disse di sì.

La casa, dopo tre giorni di lavoro dei fratelli romeni, era quasi a posto. I mobili vecchi portati via. I mobili nuovi portati dentro. L’impianto elettrico rifatto. Il bagno reso agibile. Una mano di bianco e un po’ di stucco dove serviva. Diedero persino la cera ai pavimenti.

«Allora noi andiamo».

Roman, il fratello maggiore, un quarantenne dall’aria triste, aveva una cicatrice sul sopracciglio destro, ricordo di un raid razzista di militanti di estrema destra in un bar di extracomunitari sulla Palmiro Togliatti. Gli avevano gridato «Rumeno di merda», lui aveva reagito e si era guadagnato un bel po’ di randellate. Roman, già triste di natura, dopo quell’episodio, era diventato ancora più triste.

Bertone gli diede quattrocento euro e una pacca sulla spalla. Una a lui e una al fratello.

«Grazie ragazzi. Avete fatto un buon lavoro».

«Grazie a lei, commissario».

Se ne andarono lasciandolo in quella casa vuota. Con Mafalda troppo lontana e il Natale troppo vicino.

Nel frattempo era tornato al lavoro. In questura circolava una voce secondo la quale Alvarino, prima di firmare il suo reintegro, avesse gridato un vaffanculo così potente da far tremare i vetri delle finestre. Gabrini invece gli telefonò per congratularsi.

Non aveva quasi più un soldo ma, in polemica con tutta la polizia italiana, investì centodieci euro nell’opera omnia di Borges. I racconti gli fecero girare la testa. Troppo complicati, troppo improbabili. Anche se, considerato quello che era successo a lui negli ultimi tempi…

Sfogliò le poesie. Gli cadde l’occhio su una. Si intitolava Afterglow, come la canzone dei Genesis. Parlava del tramonto e diceva che i sogni cessano quando sappiamo di sognare.

Stesso titolo, svolgimento diverso. Sì, perché, la canzone dei Genesis raccontava della solitudine di un uomo chiuso in casa a sperare che un raggio di sole venisse a bagnare il suo cuscino, zuppo solo di malinconia, e a svegliarlo dal cupio dissolvi in cui s’era cacciato. Un uomo, anzi, uno sfigato, che non trovava più requie e salvezza se



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