Il cecchino e la bambina: emozioni e ricordi di un inviato di guerra by Franco Di Mare

Il cecchino e la bambina: emozioni e ricordi di un inviato di guerra by Franco Di Mare

autore:Franco Di Mare [Mare, Franco Di]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
Tags: Literary Collections, General, Political Science, Political Freedom
ISBN: 9788817027694
Google: 6B0XOwAACAAJ
editore: Rizzoli
pubblicato: 2009-04-14T22:00:00+00:00


Durante l’assedio di Sarajevo, nel tribunale della città, si tenne un processo storico: il primo per crimini di guerra. Un uomo e una donna, accusati di strage, furono trascinati in manette davanti ai giudici bosniaci. Erano stati catturati per caso. Ubriachi, un sabato sera, avevano infilato docilmente il muso della loro auto in un posto di blocco dell’esercito bosniaco, mettendo fine in un sol colpo alla sbornia e alla loro carriera paramilitare.

L’udienza assumeva i caratteri di un evento eccezionale proprio perché si sforzava di essere un processo regolare, con tanto di giudici, avvocati difensori e pubblico ministero.

Niente era normale in quei giorni a Sarajevo. Dall’alto delle colline i cecchini sparavano su donne e bambini; in un alberghetto poco lontano dalla linea del fronte, il Bar Sonia, gli uomini delle milizie del criminale di guerra Radovan Karadzic stupravano regolarmente tutte le prigioniere bosniache che venivano trascinate in quella pensione trasformata nel caveau degli orrori; a Magnaca, nelle enclave serbe della Krajina ai confini con la Slavonia, l’esercito irregolare aveva creato un campo di concentramento che ricordava quello di Buchenwald.

In quel clima di barbarie, la gente di Sarajevo si attaccò a quel processo come a un romanzo d’appendice, da seguire in tv o sui giornali, una sorta di ritorno alla normalità, la risposta della civiltà giuridica al medioevo dello stato d’assedio.

Le udienze erano sempre affollatissime. Quaranta, cinquanta telecamere del circo internazionale di giornalisti seguivano il processo senza perdere una battuta. La strada del procedimento giuridico era segnata: gli imputati erano rei confessi. La donna si era chiusa in un mutismo ferino. L’uomo invece appariva indifferente a quanto gli capitava, e rispondeva a ogni domanda senza farsi pregare, con mestizia quasi, senza trascurare dettagli e particolari, se richiesti.

Si chiamava Herak. Era nativo di un villaggio poco lontano dalla capitale. Il giorno in cui venne interrogato, Sarajevo imparò che l’orrore poteva assumere sembianze umane. Con un tono monocorde, rispondendo alle domande che gli rivolgeva il presidente della corte, Ljubo Lukic (serbo, per inciso), raccontò come aveva imparato a sgozzare facendo pratica sui maiali, che hanno una giugulare simile a quella umana.

«Come faceva a sgozzare un uomo?»

«Glielo posso mostrare presidente.»

«…»

«Per finta, ovviamente.»

«C’è un volontario tra il pubblico?»

Un fotoreporter francese fece un passo avanti. Un poliziotto tolse i ceppi all’imputato che si avvicinò al centro dell’aula di giustizia, di fronte allo scranno del presidente. Herak chiese al reporter di stendersi supino e gli si sedette sullo sterno, bloccandogli le braccia con le gambe.

«Mi servirebbe un coltello, o una cosa simile, se volete vedere come facevo…»

Qualcuno gli passò un righello di plastica.

«Ecco presidente, facevo così: afferravo il condannato per i capelli della fronte con la mano sinistra e li tiravo all’indietro. In questo modo lui era costretto a scoprire il collo. Poi bucavo il collo con la punta del coltello… così. Se zampillava sangue voleva dire che avevo preso la giugulare. In quel caso affondavo il coltello e poi aprivo uno squarcio con un movimento del polso verso la parte opposta del foro. In questo modo i condannati duravano ancora uno, massimo due minuti.



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