Il Conquistatore del mondo by Rene Grousset

Il Conquistatore del mondo by Rene Grousset

autore:Rene Grousset [Grousset, Rene]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2023-07-24T22:00:00+00:00


 I CANI DI GENGIS KHAN NUTRITI DI CARNE UMANA

Gengis Khan non perse tempo: ricacciò indietro gli esploratori naiman, schierò l’esercito in assetto di battaglia e impartì le disposizioni di combattimento; questa volta ci viene riportata la terminologia tattica dei Mongoli: sappiamo che l’ordine di marcia doveva essere «a erba fitta», che in seguito le truppe dovevano prendere la formazione «del lago» e che dovevano attaccare «a punteruolo». Gengis Khan assunse personalmente il comando dell’avanguardia, affidò il centro al fratello Qasar e la cavalleria di riserva all’altro fratello Temüge. Ma già i Naiman, le cui velleità offensive si erano rivelate di breve durata, abbandonavano la postazione di Čakirma’ut per riformare i ranghi davanti alle rocce di Naqu, incalzati dalle avanguardie mongole.

Il Tayang osservava con apprensione quelle scaramucce per lui tanto svantaggiose in vista dell’azione generale. Accanto a lui c’era J̌amuqa, l’antico «fratello adottivo» di Gengis Khan divenuto il suo avversario più tenace. Qui l’epopea mongola ci regala una magnifica poesia, nella quale il sovrano naiman interroga J̌amuqa sui vari corpi d’armata nemici che i due vedono dispiegarsi nella pianura: «Chi sono» domanda il Tayang «quelle genti che inseguono le nostre avanguardie come lupi che inseguono le pecore fin dentro il recinto?». «Quelli» risponde J̌amuqa «sono i quattro cani del mio anda Temüǰin. Vengono nutriti di carne umana e tenuti legati a una catena di ferro. Hanno fronti di bronzo, le loro fauci sono come una tagliola, la loro lingua come un punteruolo, il loro cuore è di ferro, la loro coda è come una spada. Si dissetano con la rugiada. Corrono a cavallo del vento. Il giorno della battaglia, divorano i corpi del nemico. Ora eccoli sciolti dalla catena, e per la gioia la bava cola loro dalle fauci. Quei quattro cani sono J̌ebe e Qubilai, J̌elme e Sübötei». A quelle parole il Tayang è percorso da un brivido. Dà l’ordine di arretrare da entrambi i lati della montagna, con i Mongoli alle calcagna che, «facendo balzi di gioia», tentavano di circondare il suo esercito.

Nella nostra epopea, di fronte a quello spettacolo il Tayang interroga di nuovo J̌amuqa: «E chi sono quelle genti che corrono a circondarci, simili a puledri che, lasciati liberi di primo mattino, sazi di latte, saltellano intorno alla madre?». «Quelle sono» risponde J̌amuqa «le tribù degli Uru’ut e dei Mangqut. Danno la caccia ai guerrieri armati di lancia e sciabola come fossero selvaggina, strappano loro le armi insanguinate, li atterrano e li sgozzano, si impossessano delle loro spoglie!». Di nuovo, il Tayang dà l’ordine di arretrare inerpicandosi su per i fianchi della montagna. Là, dopo avere fatto sosta, torna a interrogare J̌amuqa: «E chi è quell’uomo che si intravede dietro di loro, simile a un nibbio affamato e impaziente di gettarsi sulla preda?». «Quello» risponde J̌amuqa «è il mio anda Temüǰin. Il suo corpo è tutto temprato nel bronzo, forgiato in ferro, tra le giunture non passerebbe nemmeno la punta di una lesina. Lo vedete avventarsi contro di voi, simile a un avvoltoio affamato? Poco fa vi



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