Il cuore delle cose. Storia delle idee radicali by David Tozzo

Il cuore delle cose. Storia delle idee radicali by David Tozzo

autore:David Tozzo [Tozzo, David]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788861054301
Google: K1XEywEACAAJ
editore: Luiss
pubblicato: 2019-12-14T23:00:00+00:00


Capitolo 4

Radicalismo rivoluzionario

«Per ottenere un cambiamento radicale

bisogna avere il coraggio d’inventare l’avvenire.

Noi dobbiamo osare inventare l’avvenire»

Thomas Sankara

Lettori, volete un radicalismo senza estremismo?

Che altro non è che la parafrasi della celebre domanda di Maximilien Robespierre alla Convenzione Nazionale del 5 novembre 1792: «Cittadini, volevate una rivoluzione senza una rivoluzione?».

Ma invero il radicalismo non è sempre stato radicale.

Oltremanica, contemporaneamente a Robespierre, i radicali si definivano ‘riformatori’, mentre il Governo di Sua Maestà Britannica e i suoi loyalist li apostrofavano, intendendo denigrarli, come “giacobini”.

Solo in seguito, il termine ‘radicalismo’ è stato applicato retrospettivamente per denotare un movimento politico collettivo inglese oppositivo al lealismo. Diversi storici socialisti e marxisti cercarono di rintracciare una tradizione radicale nel passato inglese. In termini di politicizzazione, ciò si individuò principalmente nella classe operaia con una coscienza condivisa, di classe. Tale narrazione fu però poi messa in discussione da una “svolta linguistica” che prese ad includere la classe media inglese nel radicalismo. In ogni caso, la corrente di pensiero storico prevalente, circa il movimento radicale inglese, ha inteso mantenere il focus sul radicalismo come movimento imperniato sulla sua sfida al Parlamento di Westminster.

Il filosofo politico e storico del pensiero politico britannico Mark Philip, tuttavia, sostiene che il movimento radicale inglese non fu connotato prevalentemente in termini di classe o coscienza di classe, bensì comprendeva un variopinto coacervo di individui insoddisfatti dall’ordine stabilito e intenzionati a sfidare lo status quo. In teoria, un movimento che incorporava tutti quelli che per una ragione o un’altra si sentivano esclusi dalla società o dalla politica: un gruppo eterogeneo che includeva i non votati, le minoranze povere, religiose o escluse per motivi di razza, genere e così via. Alcuni di questi esclusi si raccolsero all’interno di societies e in riunioni assembleari, sviluppando un’agenda condivisa per la riforma (ovvero per il radicalismo). Philip si domanda se ciò che in realtà contraddistingua i radicali britannici sia lo status di outsider, dubbio sostanziale che noi non abbiamo così come Conal Condren, che rispetto a Mark Philip conclude come tale alienato radicalismo rifletta una “condizione di esclusione frustrante” che può produrre “reazioni estreme a un dato insieme di circostanze”. Su questo versante interpretativo, possiamo marcare il radicalismo nei già disaminati termini di identità, esclusione e status di estraneo, estendendoli oltre la contemporaneità del tempo al di là della Manica così come nel resto del tempo e dello spazio dell’euroccidente e ancor più in là. Inoltre, in termini di politicizzazione, è importante considerare i radicali come individui piuttosto che unicamente come parte di un movimento omogeneo, anche solo e semplicemente poiché di omogeneo c’è poco, ed è proprio in opposizione all’omogeneità sistemica che i radicalismi si trovano e si ritrovano accomunati.

In battaglie diverse nella stessa lotta. Individuali ma in ultima istanza collettivisti. Poiché contrari ad un centro, contrastanti un centro. Un po’ come bestiole tutte diverse ad avventarsi tutte sul grosso e grasso despota della foresta, da diverse parti: in Francia coi giacobini, in Inghilterra coi cartisti, in Belgio con la rivoluzione del ’30 e nel resto d’Europa coi moti del ‘48.



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