Il fatto personale by Antonio Padellaro

Il fatto personale by Antonio Padellaro

autore:Antonio Padellaro [Padellaro, Antonio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: PaperFirst
pubblicato: 2018-12-14T23:00:00+00:00


Presidente, non firmi

Quando il Fatto comincia le sue pubblicazioni, la prima polemica scoppia proprio con Giorgio Napolitano. Riguarda la vicenda dello scudo fiscale. Il 26 settembre 2009, mettiamo in pagina una lettera aperta al capo dello Stato, primo firmatario Bruno Tinti, in cui gli chiediamo di non sottoscrivere una legge «già odiosa» che «diventerà uno strumento di illegalità», visto che «i beneficiati dallo scudo non potranno essere perseguiti per reati tributari e di falso in bilancio, il mezzo con cui sono stati prodotti i capitali che lo Stato ‘liceizza’; e intermediari e professionisti che ne cureranno il rientro non saranno tenuti a rispettare l’obbligo di segnalazione per l’antiriciclaggio; insomma omertà, complicità, favoreggiamento». Il governo in quel momento ha bisogno di fare cassa e, tramite l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, offre agli evasori la possibilità di far rientrare i capitali nascosti nei paradisi fiscali. Lo scudo è di fatto un condono concesso in cambio di pochi spiccioli. Nella legge ci sono due aspetti gravissimi che sottoponiamo all’attenzione del Quirinale. Il primo è l’impunità rispetto a un reato grave come il falso in bilancio. Il secondo è, appunto, la possibilità per il reo di cavarsela con una cifra minima rispetto a un’evasione importante. Il presidente Napolitano, però, firma lo scudo fiscale il 4 ottobre 2009. A convincerlo non bastarono le 81.821 firme raccolte in calce al nostro appello, in rappresentanza di chi «ha sempre creduto nella legge che persegue i reati» e «che adesso non può accettare che il reato diventi legge». Un risultato di tutto rispetto, considerato che il Fatto in quel frangente ha appena effettuato il suo esordio nelle edicole. Da allora, il nostro schema di “protesta” si ripete per molte altre leggi che Napolitano non dovrebbe promulgare. Il capo dello Stato obietta che per non firmare una legge devono ricorrere aspetti di incostituzionalità. Un’obiezione tutta da verificare, visto che i giuristi del Quirinale hanno già dimostrato di essere talmente bravi, da riuscire a dimostrare tutto e il contrario di tutto. D’altra parte, la possibilità d’interpretare la legge è stata lasciata aperta anche per garantire alla politica un margine di intervento.

Napolitano cerca quasi sempre di lavorare sottotraccia, in maniera preventiva. Firma il decreto di nomina di ministri impresentabili e si ribella soltanto davanti alla proposta di Aldo Brancher al dicastero del Federalismo. Su quest’ultimo, infatti, allora pende una richiesta (poi confermata da una sentenza passata ormai in giudicato) di condanna a due anni di reclusione per ricettazione e appropriazione indebita, in un filone dell’inchiesta sulla scalata ad Antonveneta. È questo l’unico caso in cui Napolitano si impunta, rifiutandosi di avallare la sua nomina.

Insomma, non dico che abbia firmato tutti i desiderata di Berlusconi per subalternità, ma senz’altro ha cercato di salvare capra e cavoli, barcamenandosi davanti alla più grande maggioranza della nostra storia parlamentare.



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