Il lato fresco del cuscino by Vittorio Zucconi & Zucconi Vittorio

Il lato fresco del cuscino by Vittorio Zucconi & Zucconi Vittorio

autore:Vittorio Zucconi & Zucconi Vittorio [Zucconi, Vittorio & Vittorio, Zucconi]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2018-04-09T11:07:24+00:00


10.

La mostarda

In fila per uno tra i banchi, noi allineati in religioso silenzio, stringevamo fra le dita la particola di michetta comperata sulla via della scuola – mai più di uno spicchio ciascuno o del tappino di pane – e attendevamo il nostro turno per avvicinare l’altar maggiore del nostro rito quotidiano: la distribuzione della santissima mostarda di frutta piccante.

Il celebrante era il maestro Viganò, del quale non ricordo il nome perché allora tutti, dagli insegnanti agli scolari, ci conoscevamo soltanto per cognome e io ero “zucca” per tutti. Apriva con cura per non appiccicarsi le dita l’anfora di vetro trasparente che conteneva la frutta sciroppata aromatizzata con aglio e semi di senape e cominciava il rito.

Per Natale, la mamma di uno di noi trentasei alunni della sua 4a nella scuola elementare di via Gattamelata a Milano, intitolata al valorosamente imbranato kamikaze piemontese Pietro Micca, l’artificiere che sbagliò la lunghezza della miccia e si fece saltare in aria per fermare i francesi nelle gallerie della cittadella di Torino, regalava al maestro Viganò un’anfora di mostarda con grandi orecchie.

Per naturale generosità, o perché la mostarda gli faceva schifo, l’insegnante usava quella frutta sciroppata per arricchire la merenda di noi bambini nell’intervallo. Non c’erano refettori, mense, merendine nel cellophane, tramezzini da casa, vegani o schizzinosi, circolari ministeriali o sentenze del Tar. C’erano soltanto robusti appetiti che in molti confinavano con la fame, in quell’alba di anni cinquanta, e la geniale trovata del maestro era stata quella di puntare sulla naturale golosità dei bambini e sulla mistica sacralità di quella frutta innaturalmente colorata e dolcissima per mettere tutti, ricchi e poveri, figli di borghesi o figli di disoccupati, sullo stesso piano.

Tutti potevamo permetterci la “michetta”, la rosetta di pane comune vuota dentro e tanto squisita appena sfornata quanto immangiabile il giorno dopo, e nessuno avrebbe rinunciato alla distribuzione della santissima mostarda per portarsi da casa uno spuntino privato, anche se avesse potuto permetterselo.

Con piattino, forchettina lunga e coltellino affilatissimo che maneggiava con la perizia di un chirurgo, il maestro Viganò sezionava frazioni microscopiche di mandarini, fichi, pere, albicocche e le depositava sul pezzetto di pane che gli porgevamo, rigorosamente a mani giunte. Poi lo riportavamo al banco per consumarlo in un momento di estasi.

Quando la frutta inevitabilmente finiva, utilizzava lo sciroppo. Intingeva la forchettina nell’anfora lunga e stretta, inclinata perché il liquido diventasse accessibile, e poi lasciava che stille, una o due al massimo, di quella melassa languidamente si posassero sul boccone di pane, come gocce di sciroppo medicinale.

Non c’erano trattamenti preferenziali per secchioni o somari, né per chi di noi andasse a ripetizione a casa da lui per prepararsi ai ben due esami che ci attendevano in 5a, quello per il diploma delle elementari e quello di ammissione alla scuola media. Neppure io, che pure ero bravino ed ero stato addirittura prescelto per cantare Va, pensiero nell’imbarazzante coretto verdiano che lui accompagnava a un asmatico harmonium piazzato in aula, avevo diritto a una goccia di sugo o a una frazione di frutta in più.



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