Il male che si deve raccontare by Simonetta Agnello Hornby

Il male che si deve raccontare by Simonetta Agnello Hornby

autore:Simonetta Agnello Hornby [Hornby, Simonetta Agnello]
La lingua: ita
Format: epub, azw3, mobi
pubblicato: 2015-02-09T05:00:00+00:00


10. La signora Wanda, di nuovo Fenella e il filo di nylon di Joan

Alcune vittime di violenza domestica possono trascorrere l'intera vita nascoste nella loro prigione e morirvi senza che nessuno si accorga della loro sofferenza. O uccidersi, senza che a nessuno venga il dubbio che sia qualcosa di diverso dal suicidio di una donna di mezza età sofferente di depressione.

Me lo ha raccontato una mia amica che conosceva la signora Wanda. Siamo a Milano nell'Italia in movimento dei tardi anni cinquanta. La città cresce, si espande, la guerra e il dopoguerra sembrano definitivamente alle spalle. La signora Wanda era una bella veneta, maritata a un uomo che aveva fatto una modesta carriera rompendo il soffitto di vetro tra la classe operaia e la piccola borghesia. Non avevano figli, e lui spendeva i suoi guadagni per abbellire la casa, per fare bella figura. Nella bella figura era compresa anche la moglie, alta, seno florido, acconciatura ricca. I vestiti glieli cuciva la madre della mia amica, sarta in casa, come si usava dire allora. Diceva: "Com'è bello vestire la signora Wanda. E com'è facile, sembra una Pampanini". La signora Wanda però non aveva vita mondana. Tutto quel guardaroba era come la casa in cui si muoveva con un sorriso malinconico. C'erano mobili di legno intarsiato lucidissimo, specchiere e quadri. La sala da pranzo, con tanto di lampadario centrale di bronzo e cristallo, aveva sulla credenza un servizio da tè di porcellana rosa e verde, di fattura squisita: il solo del palazzo. Suscitava l'invidia degli altri inquilini ed era fonte di meraviglia per i ragazzi che abitavano lì. Ogni giorno, immancabilmente, quando il marito rientrava dal lavoro la signora Wanda gli preparava il tè; lo prendevano all'estremità del tavolo accanto al balcone che dava sul cortile, dove tutti i condomini potevano vederli. D'estate, prima di portare via tazze e teiera, la signora andava sul ballatoio e offriva il tè rimasto ai bambini dei vicini, versandolo con un mesto sorriso in bicchieri di vetro leggeri e colorati.

Mesta era la signora Wanda, e ancora più mesta era quando venivano a prendere il tè certe signorine belle e procaci, una alla volta, portate dal marito. Si presentavano da sole, allungando la mano con esasperata mollezza, ma intanto scambiavano una furtiva occhiata d'intesa con il loro accompagnatore, che diceva brusco: "Si accomodi". La signora Wanda faceva strada verso il salotto, tenendo alto il capo e illustrando con la sua calda voce da contralto le comodità della casa, ma si spegneva subito in sottomissione quando il marito le raccomandava di non esagerare.

La signora Wanda vestiva abiti scuri, neri, blu notte, sempre tinta unita, quantunque la sarta glielo ripetesse sempre: "Una fantasia, la prossima volta, una fantasia del Galtrucco". Le signorine non avevano né venustà né portamento. Molto rossetto. Cinture alte che le stringevano in vita. Tessuti stampati che si aprivano a palloncino. Ma i visi erano pallidi e troppo scavati, o troppo tondi e imporporati di venuzze. Nasi ossuti. Nasi a becco. Labbra troppo sottili, quasi inesistenti. Ridacchiavano, questo sì.



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